I David e Fiorello: riflessioni sul cinema italiano
“A parte Dogman, Loro e Guadagnino (Chiamami col tuo nome), gli altri film non li conoscevo. Io non avevo mai sentito parlare degli altri film. Un po’ se la cantano e se la suonano. Erano cinquine di film che erano disgrazie (…) Eravamo la patria della commedia, la commedia non esiste per questo tipo di premi (…) Ma gli argomenti? Tristezza infinita. Mi piacerebbe un giorno che veramente venisse premiata una bella commedia”. (fonte: davidemaggio.it)
Fiorello non ci è andato giù leggero, nel commentare gli ultimi David di Donatello. Dapprima, in una parte che qui non ho riportato, ha parlato della trasmissione, di come fosse soporifera, poco divertente ed eccessivamente autoreferenziale (vero). Il tiro poi si è spostato direttamente sullo stato del cinema italiano. Due i punti su cui si è soffermato, vediamo di analizzarli.
Il primo: l’invisibilità di certi titoli. Al netto delle produzioni commerciali che non partecipano ai David (mi riferisco dunque ai vari cinepanettoni ad esempio), il cinema italiano soffre di scarsa e mala distribuzione. I titoli in gara non hanno avuto un reale battage pubblicitario, non hanno avuto l’eco mediatica che gli spettava. Ma questo, a onor di verità, non è davvero un problema cinematografico. È, semmai, un problema di distribuzione appunto, di case produttrici, di quella mentalità che spinge su titoli pop e meno sul cinema impegnato, sebbene poi sia quest’ultimo quello ad incassare premi. Così i film più belli, più significativi e meritevoli si allontanano dalla gente, che inizia a considerare il cinema come arte di nicchia, elitaria, intellettualmente fastidiosa. Sarebbero da fare più educazione alla cultura e meno pippe sulla noia dell’arte che, noiosa davvero, non è mai. Basta saperla capire.
Il secondo punto riguarda invece il cosiddetto declino della commedia all’italiana. Verrebbe da chiedere a Fiorello dove sia vissuto finora. Sono anni che la commedia è appannaggio di personaggi come Pieraccioni o Zalone, più qualche altro nome sporadico, per lui più preso in prestito alla tivù. La commedia, così come sembra intenderla Fiorello, non esiste più da decenni. Sarebbe tuttavia da domandarsi perché non è più in voga, perché non è adeguatamente sfruttata. E qui, credo, è necessario lavorare di analisi sociale e si osserverà quindi che non siamo ad oggi un Paese che ha davvero voglia di ridere. Certo, il desiderio catartico che offrono le storie belle e allegre esiste ancora, è fisiologico. Ciò nonostante il cinema italiano punta soprattutto su quella che è l’attualità italiana, con i grandi problemi che emergono: omofobia, intolleranza, i problemi di una nazione che soffre. Il generi del cinema, come le vicende umane, sono ciclici, e i tempi bisogna saperli interpretare: nel dopoguerra il Neorealismo raccontava di una realtà difficile e struggente, la commedia anni ’50 proponeva il benessere del boom economico e così via fino a oggi, dove si sta assistendo, quando la creatività vera lo permette, a un ritorno intimistico, più crudo, più verosimile. È uno dei tanti modi che il grande schermo usa per raccontare la vita, che negli ultimi tempi pare essersi fatta più aspra per tutti. Prima o poi anche le buone commedie torneranno, nessuno lo tema. Semplicemente, non è questo il momento.
P.S. Sul declino del cinema italiano si potrebbe dire ovviamente molto altro, a cominciare dei cambiamenti della fruizione stessa del cinema. Ne ho già parlato, ne parlerò ancora, ma questa è un’altra storia.