Capire le critiche a Striscia la Notizia
È da tempo che Striscia la notizia è soggetto di polemiche di stampo razzista: nelle ultime settimane il telegiornale satirico di Antonio Ricci ha subito diverse critiche in merito dapprima a uno sketch dove Paolo Kessisoglu imitava Laura Boldrini utilizzando un ragazzo nero e apostrofandolo con epiteti razzisti; successivamente per la scadente imitazione del più bieco stereotipo cinese da parte dei conduttori Gerry Scotti e Michelle Hunziker. L’attacco al programma pluriventennale, in merito a quest’ultimo episodio, è partito da oltreoceano, più precisamente dalla pagina instagram Diet_Prada, impegnata, tra le altre cose, in tematiche sociali e antidiscriminatorie. Michelle Hunziker il giorno dopo si è prontamente scusata col suo pubblico sottolineando di non credere in ideologie di stampo razzista: un passo dovuto, tanto più che la donna è comunque associata all’estero anche per essere la moglie di Tomaso Trussardi, e l’opinione pubblica è sensibilissima in confronto a certe tematiche, specialmente se legate a celebri brand.
Scuse ufficiali dunque, ma la questione non è risolta.
Andrebbero affrontati diversi aspetti per riflettere sulla vicenda. Il più importante è questo: molta dell’eco mediatica che si è diffusa a partire dalle critiche, si muove lanciando invettive contro il politicamente corretto. “Non si può più dire niente signora mia”, “E fatevi una risata”, “Se a noi italiani prendono in giro per mafia, pizza e mandolino io mica me la prendo” e così via. La discriminazione, tuttavia, non si gestisce negandola o sostituendo la nostra voce con quella dei discriminati. Chiunque non sia di origine asiatica, in questo contesto, non può permettersi di decidere come e in che misura un atto è discriminatorio dei loro confronti. Non possiamo sostituire la nostra voce a quella di chi è oggetto di scherno, utilizzando il nostro personale metro di misura. Il risultato è minimizzare, ridicolizzare, non comprendere un disagio che non conosciamo perché non ne siamo vittime.
Inoltre, non è nemmeno così vero che molti italiani, se associati alla triade citata ‘mafia pizza e mandolino’ (a cui si potrebbe aggiungere lo stereotipo dell’italiano sporco, macchiato di sugo, che inneggia a Berlusconi) non se la prenderebbero: c’è un mondo pieno là fuori di italiani che si infastidisce molto a essere ridotto a un’immagine del genere. Di più: spesso sono gli stessi che inorridiscono e tirano fuori il peggio quando vengono toccati elementi di “italianità” da parte di altre culture, basti pensare all’ambito culinario. Quanti italiani leggiamo indignati sotto i video di cucina dove un qualunque americano cucina la pasta all’amatriciana col ketchup o usa la panna nella carbonara? Ogni cultura ha quei nodi su cui il resto del mondo punta il dito, spesso sghignazzando, incurante delle sensibilità che ferisce. Chi siamo noi per scimmiottare gli altri? Dall’alto di quale stantio privilegio decidiamo che si può continuare a farlo? E usciamo una buona volta dal pensiero “si è sempre fatto”. O si comprende che l’epoca che stiamo vivendo è immersa in un divenire che sta virando verso l’inclusività e il riconoscimento di minoranze e culture una volta oppresse o sbeffeggiate, o rimarremo incastrati in un limbo anacronistico dove pensiamo di far ridere, invece siamo solo imbarazzanti.
Commenti [56]