Un Sanremo fatto dai social
La prima serata del Festival di Sanremo 2022 targato nuovamente Amadeus ha sbancato lo share. I risultati sono stati ottimi, quasi 11 milioni di telespettatori, e ho letto tantissime opinioni che raccontano di come il conduttore, accompagnato da Fiorello e in parte da Ornella Muti, abbia ancora una volta registrato un successo.
Eppure.
Eppure vale la pena analizzare davvero quanto questo clamore sia merito della conduzione, e quanto sia da attribuire ad altri fattori. È controproducente e intellettualmente falso non vedere che molto, se non quasi tutto il successo delle ultime edizioni della kermesse, sia da attribuire al tamtam social mediatico che ruota attorno alla manifestazione. Un programma che fagocita un’intera settimana del palinsesto televisivo non può non riportare picchi altissimi di share, cui si devono necessariamente aggiungere i tormentoni e gli instant meme che vengono rilanciati dalle bacheche di Twitter e Instagram, soprattutto. Si parla dell’edizione social più commentata di sempre (quasi 6 milioni di interazioni complessive – fonte: La Stampa), e siamo solo all’inizio.
Usciamo da l’ennesima ondata Covid che ha provato in modo pensatissimo gli italiani: la potente voglia di evasione (che non ancora si può esercitare appieno), unita a quel senso di comunità che solo lo scambio interattivo del web può dare, possono essere spinte sufficienti a definire un prodotto come vincente.
Anche perché, siamo onesti, la conduzione non ha nulla di innovativo. Amadeus presenta al solito sobrio, e ride giocoso alle battute che Fiorello propone sulla pandemia, i vaccini, le polarizzazioni ideologiche, buttandoci dentro pure l’elezione di Mattarella bis. Niente di particolarmente brillante, il Fiorello che ormai conosciamo da decenni. Il mattatore, la quota comica, la spalla sicura e contenuta.
Nonostante le critiche di sessismo rivolte ad Amadeus l’anno scorso e lo sforzo mostrato in conferenza stampa, la prima serata non ha evidenziato alcuna presa di coscienza in merito alla valorizzazione delle donne (e non nutro alcuna speranza neanche nelle prossime serate): il corpo di Ornella Muti è rimasto scultoreo al centro del palcoscenico celebrato più per la sua bellezza “nonostante il tempo” (la finiremo mai con l’ageismo?), che per ciò che poteva portare di sé. Difatti, il microfono le è stato acceso in pratica solo per parlare dei grandi uomini con cui ha lavorato, mica per raccontare la sua vita, quel qualcosa d’altro che poteva per una volta mostrare una prospettiva diversa del ruolo di valletta semimuta quale è sembrata.
Non ci troviamo di fronte ad alcuna novità: per quanto ogni edizione venga presentata come diversa, Sanremo è una delle trasmissioni più inquadrate, rigide e prevedibili che esistano. Uno spazio dove la polemica si innesta con la stessa velocità con cui evapora, dove le parti condotte tra una canzone e l’altra non apportano nulla di veramente significativo e dove le gag comiche sono un concentrato inquietante di luoghi comuni vecchi di almeno quarant’anni, che perpetuano sterotipi cari al sistema. Solo la musica, per sua natura, può arrivare a dire qualcos’altro. E allora sono le esibizioni il meglio del programma, e per fortuna. Guai fosse il contrario.
Quindi sì: Sanremo vince ma, allo stesso tempo, perde. Sono i social e quella incessante, nervosa, costante e graduale necessità di commentare i capezzoli di Achille Lauro o il vestito di Ana Mena, ad aver portato il programma alle stelle. Come sta accadendo sempre di più, è il web a fare la televisione, che ne esce al confronto impietoso come un gigante imbalsamato e sempre più goffo.