Abituarsi alla paura: il rischio dell’infodemia
Torno nuovamente sull’argomento Covid-19, aka Coronavirus, perché, in questi giorni di panico generale dovuto a un sistema informativo in tilt, è bene osservare con spirito critico i fatti.
Ad oggi non c’è trasmissione televisiva, radiofonica o pagina web che non tocchi l’argomento e non nomini le città colpite dalla quarantena, i numeri dei malati in giro per il mondo, ma soprattutto che non offra un bollettino istantaneo sulle persone contagiate o sulle vittime. È un martellamento che avevamo già osservato, che addirittura l’OMS definiva “infodemia”, ovvero pandemia di informazioni, un surplus esagerato che portava le persone a perdersi dentro un mare intricato di notizie vere, presunte o false, con il diffondersi di pregiudizi e paura.
Due sono gli scenari possibili di tale sistema: da un lato l’acuirsi dello stress e del panico, con le scene assurde che stiamo osservando, come l’impazzito svuotarsi nei supermercati di beni di prima necessità. Dall’altro, la lenta assuefazione a questo tipo di notizie. La storia del giornalismo e della comunicazione in genere ci racconta che il prolungarsi continuo di determinate informazioni fa sì che queste ultime si appiattiscano nel lungo periodo sullo sfondo, fino quasi a scomparire. Col tempo dunque ci si abituerà agli aggiornamenti sanitari, a questo stato costante di timore, fino a inglobarlo nella nostra routine.
Come evitare di farsi violentare da questo sistema malato? Selezionando con intelligenza le fonti di informazione da seguire: che siano poche ed affidabili. Il resto va spento, disinstallato, cancellato: che si cambi canale, che si spenga il televisore, che si tolga il follow da pagine di sciacallaggio mediatico. Anche questo è fare prevenzione.