Al Bano, Romina e il non amore in tivù
Non è mia intenzione scrivere un post su San Valentino, né su Sanremo, ma ieri ho visto anch’io il ritorno all’Ariston di Al Bano e Romina e mi sono domandata se la televisione, oggi, quando parla d’amore, riesce ad essere ancora credibile. Perché ciò che ho visto ieri è stato il risultato di un’imbarazzante operazione di marketing (durata settimane tra servizi e retroscena) dove Carlo Conti spingeva al bacio in favore di telecamera e ogni inquadratura pareva un’affannosa ricerca della cornice più idilliaca dove racchiudere la storica coppia. Zero sentimento, tanta tristezza.
Qualcuno dice che l’amore parla qualunque linguaggio, ma io penso che quello televisivo non sia più in grado di esprimerlo. È davvero mai stato capace di farlo? Forse oggi la tivù sa parlare di sesso, di attrazione, di seduzione, tuttavia è irrimediabilmente analfabeta dinnanzi all’enormità di questa emozione.
Non so dire se la colpa è da imputarsi a chi fa la tivù o a chi la guarda: se dunque tale analfabetizzazione affettiva sia da ritrovare all’interno della società tutta, tra gli spettatori, o nell’offerta televisiva che preferisce puntare agli aspetti meno platonici e più fisici del sentimento. La colpa è probabilmente di entrambi.
Uno accende la tivù oggi e ciò che ritrova sono reality come “Nudi a prima vista”, dove una coppia si incontra per la prima volta in un’isola deserta senza alcun vestito addosso, “Matrimoni al buio”, dove addirittura prima ci si sposa e poi ci si conosce, il solito sottobosco prodotto da MTV con i vari appuntamenti tra giovanissimi in cui ci si scarica nel giro di una pausa pubblicitaria.
La versione americana di "Nudi a prima vista", "Dating Naked"
C’è poi tutta quella branca di programmi in terza serata e sui canali di nicchia del digitale terrestre che indaga la sessualità delle coppie già collaudate che vogliono ritrovare l’intesa, a cui rispondono esperti del settore e dove la telecamera si insinua in camera da letto senza troppe censure (“Sex Inspector”, uno tra i tanti).
L’amore in tivù è un maiale di cui non si butta nulla: ogni sua parte, dall’innamoramento alla sua fine, può essere sezionata, sfruttata in un programma ad hoc, spolpata a dovere. Ed è tramite questo modus operandi che manca la contemplazione del sentimento nella sua interezza, dove perciò la televisione fallisce, diventando il mezzo meno adatto per parlarne. Il piccolo schermo ci propone le sfaccettature di un’emozione sfuggente come ci trovassimo di fronte a un prisma che non si riesce a inquadrare per intero. Così ogni personaggio che ne parla, dall’ospite nel talk, all’ammiratore di “Uomini e Donne”, al concorrente del dating show, risulta finto, un elemento incompleto di qualcosa di troppo grande da poter essere racchiuso e raccontato in una trasmissione. Neanche se sei a Sanremo e ce la metti tutta per cantare “Felicità”.