“Alboreto is nothing” e i film di Natale
Meno di un mese a Natale e in tivù già hanno rispolverato i consueti film a tema. Italia Uno ha passato da poco “Mamma ho perso l’aereo”, cui seguiranno “Mamma ho riperso l’aereo” e il terzo sequel di cui nessuno si ricorda il nome.
Che vi piaccia o no questa festività, ci sono alcune pellicole che più di ogni altre creano immediatamente l’atmosfera natalizia, non solo per soggetto, ma anche per ambientazione, personaggi, sceneggiatura. Un esempio è “Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato”, il classico del 1971: per me, vederlo la mattina del 25 dicembre, è da sempre un rito irrinunciabile per poter festeggiare cinematograficamente la festa.
Ma pensiamo ai vari “La vita è una cosa meravigliosa”, “Miracolo sulla 34ma strada”, “Il Grinch”, “Nightmare before Christmas”: i titoli sono molteplici, ognuno dei quali prova in modo più o meno spudorato a forzarci nel clima luccicoso e zuccheroso della festa.
A mio parere però, è negli anni ’80 che assistiamo alla più notevole caratterizzazione del genere, dove il film di Natale non parla esclusivamente di buoni sentimenti e felicità, ma si tinge anche di sarcasmo e ironia, emozioni che diluiscono il buonismo che accompagna la festa e la rendono decisamente meno stucchevole. Le pellicole di questa annata sono riuscite senza sforzo a entrare nell’immaginario collettivo di intere generazioni. “Una poltrona per due” di Landis, trasmesso rigorosamente la Vigilia, “SOS Fantasmi” con Bill Murray o “I Gremlins” di Dante rappresentano, ognuno a modo loro, tutto ciò che uno spettatore può richiedere dal cinema di Natale: divertimento, spensieratezza, una breve riflessione sull’uomo e le sue debolezze, il giusto lieto fine. Tutto ciò che serve al pubblico per meditare brevemente sulla festività e trarne un insegnamento non necessariamente religioso, ma dalla semplice esaltazione di valori universali, attraverso vicende lineari e per questo apprezzabili da tutti.
Discorso a parte invece per i cinepanettoni: seppur molti spettatori considerino una consuetudine trascorrere il Santo Stefano al cinema a vedersi l’ultimo Pieraccioni o, fino a qualche anno fa, l’ultima interpretazione di De Sica, sappiamo bene che questa moda porta in sé ormai tanta, troppa stanchezza creativa, oltre che una mediocrità artistica che non fa certo onore al nostro cinema. Il discorso è annualmente affrontato da tutti i critici cinematografici con le polemiche che ben conosciamo, tuttavia la prassi sembra destinata a continuare, se non altro perché ci sono ancora molti spettatori che continuano a spendere soldi per vedere questi film. I sondaggi ci dicono che è un pubblico occasionale, che gode del grande schermo solo in quel determinato periodo dell'anno e che quindi predilige un cinema prevedibile e rassicurante. Dal film non sono richiesti colpi di scena, ma scontati riferimenti all'attualità e gag poco elaborate. È un meccanismo frustrante, deleterio, scadente. Ciò nonostante rappresenta, per il cinema italiano, una boccata d'ossigeno per un settore che investe poco e sperimenta ancora meno e che grazie questi grandi incassi può permettersi di dedicarsi il resto dell'anno a produzioni sperimentali e d'autore.
So che voi che leggete questa rubrica apprezzate altro, ma se tuttavia volete godere dello spirito goliardico di questo tipo di pellicole, consiglio di andarsi a rivedere i primissimi “Vacanze di Natale”, a partire dall’antesignano del 1983 (sempre anni ’80, guarda caso), con l’indimenticato Guido Nicheli e le sue citazioni entrate ormai nella leggenda. Una pellicola, quella sì, che parla di ciò che ruota attorno alle festività di fine anno con quella malinconia italiana anni ’80 solo all'apparenza superficiale e in realtà intrisa di nostalgia, che più di ogni altra storia ci parla di noi e del Natale made in Italy, e di un'epoca che non tornerà più.