Basta coi film maledetti!
Io lo so, che nessuno ci crede davvero ai film maledetti. Però, appena muore un attore, è usanza per tutti media montarci sopra il caso e parlare di maledizione. È successo anche sabato scorso con Paul Walker. Neanche in tempo a fare il funerale, che già qualche giornale titolava “La maledizione di Fast and Furious”, come se l’incidente stradale fosse stato un preciso disegno divino, vista la trama dei film.
È una cosa che personalmente mi infastidisce molto: getta ombre inquietanti su pellicole senza alcuna pretesa col solo fine di renderle oggetto di chissà quale messaggio. Pimp my movie, cos I’m dead. Come se “Fast and Furious” all’improvviso potesse trasformarsi in una saga del subliminale, quando oltre al “pompa nelle casse e spacca il contagiri” non ha mai comunicato altro.
Ciò nonostante la maledizione dei film maledetti solo perché qualcuno mentre li gira ci muore accidentalmente non terminerà qui, con buona pace di Paul Walker.
Affonda le sue radici in special modo nel genere horror, dove, a causa dei temi trattati, l’idea di una pellicola segnata dal fato affascina e suggestiona.
Tra i film più famosi, troviamo “L’esorcista” di Friedkin (e quale altro film sennò?), in cui durante le riprese si registrarono nove decessi, compreso quello dell’attore Jack MacGowran, e la saga di “Poltergeist”, che nell’ultimo capitolo vide le morti di Dominique Dunne, uccisa dal fidanzato, e di Heather O’Rourke, la dodicenne attrice protagonista colpita dal morbo di Crohn.
Immancabili poi in questa speciale rassegna “Ai confini della realtà”, trasposizione cinematografica della sere tivù, in cui persero la vita l’attore Vic Morrow e due bambini che vi recitavano, e “Il Corvo”, forse il più celebre film maledetto, dove Brandon Lee venne colpito a morte da un colpo di pistola realmente caricata durante le riprese.
E come non citare “Il Cavaliere Oscuro”, con l’improvvisa morte di Heath Ledger durante la promozione del film? Anche in quel caso, tutti a parlare di ruoli segnati e sventure già scritte. Senza contare poi “Rosemary’s baby” con la tragica fine di Sharon Tate, non direttamente coinvolta nelle riprese ma inserita comunque in ogni buon manuale del film maledetto, infine anche “Il Presagio” di Dunner.
Non nego che negli spettatori le teorie sovrannaturali non possano ammaliare. Ma credo anche che ci voglia buon senso. Purtroppo capita di morire, anche se sei un attore giovane e bello che sta facendo il suo lavoro. Ma non per questo poi quel film diventa simbolo di chissà quale messaggio occulto. Ci piacerebbe, e piacerebbe anche alle case di produzione. Ma non facciamoci abbindolare dal marketing post mortem e limitiamoci a celebrare quegli attori ammirandone la bravura sullo schermo, senza cercare inutili segni nefasti nella realtà.