Che fine ha fatto la commedia romantica?
Che fine ha fatto la commedia romantica? La domanda è d’obbligo in questi giorni, quando la maggioranza delle coppie si appresta a festeggiare San Valentino, la festa più amata e odiata dell’anno. Il cinema celebrerà l’evento riportando sul grande schermo un classico del genere, “Colazione da Tiffany”, intramontabile pellicola che ha consacrato Audrey Hepburn a sfruttatissima icona di stile. Ed è proprio pensando a questo film che mi sono chiesta quali commedie d’amore, oggi, possono suscitare eguali emozioni.
Un tempo ogni donna avrebbe saputo rispondere pescando da un passato piuttosto recente: “Pretty Woman”, “Dirty Dancing”, “Ghost”, triade prediletta anche dalla televisione, che puntualmente la trasmette almeno un paio di volte l’anno. C'è poi una serie infinita di commediole minori, tutte piuttosto simili e spesso con gli stessi attori che si intercambiano per l’una o l’altra storia.
Oggi però il genere sembra in declino, surclassato da film meno illusori e più realistici, dove l’amore non sempre trionfa, ma anzi incespica come nella realtà. La commedia romantica tout court ha lasciato spazio al sarcasmo a volte cinico offerto da storie su scambi di coppia, tradimenti, inganni o, ancora, scoperte sulle proprie inclinazioni sessuali, che abbracciano l’omo o la bisessualità. La conseguenza è il disincanto che un certo tipo di soggetto ha ormai sul pubblico (specialmente quello femminile), oggi più che mai consapevole che il “per sempre” di certe storie d’amore sia molto relativo, anche nella finzione.
Una parte di colpa ce l’ha la crisi, che non ha toccato solo l’economia, ma la sfera sociale delle persone, portandole a ridimensionare le proprie priorità, anche sul grande schermo. C’entra poi l’importante ruolo che ha avuto e ha tuttora la rinascita della serialità televisiva che, con prodotti come “Sex and the city”, ha rivoluzionato il concetto di amore (e di sesso), spogliandolo di inutili smancerie e mostrandone il lato patetico, egoistico, spesso sprezzante. Un amore dove prevale l’individualismo e dove chi si lascia andare viene puntualmente ferito.
Nel finale del telefilm Carrie Bradshaw e Mr Big tornano insieme, come in qualunque fiaba che si rispetti. Ma nei due film successivi (mediocri strategie di marketing), la stessa coppia vacilla sotto il peso di insicurezze, ripensamenti, routine ed ex ingombranti, a dimostrazione ancora una volta che quella “gran culo di Pretty Woman” rimane l’ultimo esempio di amore perfetto.
Il cinema evolve dunque, assieme al concetto di sentimento. Le storie d’amore si sporcano di verità e di perversioni, arrivando a mostrarne il lato oscuro. O semplicemente quello più autentico. Un buon esempio è dato dal film “Her” (di Spike Jonze), nominato all’Oscar e in uscita il prossimo 13 marzo. Qui il protagonista (Joaquin Phoenix), si infatua di una voce, quella di Samantha (Scarlett Johansson), sistema operativo creato ad hoc per interagire intuitivamente i suoi interlocutori. Un racconto all’apparenza futuristico e alienante, ma in fondo non troppo diverso da quello che viviamo ogni giorno, abituati come siamo alla connessione perpetua con pc e cellulari. Nel suo iperrealismo, il film rappresenta la nuova commedia d’amore, dove non è necessario essere in coppia: basta infatti la presenza di un solo essere umano affinché si crei la magia. Il sentimento ci è cucito addosso per calzare perfettamente i nostri desideri, e a farci battere il cuore non serve più uno sguardo ma basta una voce e, per traslazione, un like su Facebook o un messaggio sullo smartphone. Così l’alba ci coglierà davanti al monitor pc invece che di fronte la vetrina di Tiffany.