Cincischiare sul culo delle donne: il caso Ciao Darwin
Oggi si è concluso “Ciao Darwin”. Un’edizione criticata da più parti. Da Aldo Grasso, per esempio, che ha stroncato Bonolis: “Credo che l’errore più grande di Bonolis sia stato quello di circondarsi di persone che non lo aiutano: continuano a fargli credere di essere un genio, gli suggeriscono idee con rozzezza da arricchiti, non gli danno certo una mano per trovare strade nuove.” Ma anche Lorella Zanardo, giornalista attiva da anni nella lotta alla strumentalizzazione del corpo femminile. Perché in “Ciao Darwin”, effettivamente, abbiamo assistito al ritorno massiccio dell’oggettivizzazione della donna ad uso e consumo degli uomini alla ricerca di culi, seni e vagine a buon mercato, in prima serata.
Sia chiaro, l’esibizione del corpo femminile, le inquadrature ginecologiche, le carrellate anatomiche non se ne sono mai davvero andate dalla televisione. Il “berlusconismo televisivo”, se vogliamo ricondurre a un immaginario di valori questo tipo di realtà che da “Drive In” ai giorni nostri ha sempre raccontato la donna soda, giovane e bellissima, è più di trent’anni che circola indisturbato nel piccolo schermo, e l’ha plasmato e trasformato. Tuttavia, una consapevolezza e una presa di coscienza recente aveva ridotto la spinta ninfomane di certe trasmissioni.
Finché non è rispuntato “Ciao Darwin” e, con esso, gli stilemi anni ’90 di una televisione che fu e che, pare, c’è ancora, e con successo. I dati lo dimostrano: il programma è guardato da tutti, famiglie, uomini, donne, è esaltato per il suo essere becero. Di più: è proprio questa sovraesposizione di carne la cifra stilistica della trasmissione, più degli schiamazzi o dei “non cincischi” di Bonolis urlati ai concorrenti in affanno.
Era del 2009 il documentario “Il corpo delle donne”, che denunciava l’uso e l’abuso della donna in televisione, non solo da un punto di vista scenico, ma ideologico (l’uso di donne come contorno, la mascolinizzazione di certe presentatrici a segnare il divario con le classiche vallette, belle e mute, ecc.). La situazione è pressoché invariata.
Qualcuno a questo punto potrebbe obiettare che oggi la libertà e l’emancipazione femminile passano anche dalla scelta di esporsi, ed è vero. Nessuno obbliga le ballerine di “Ciao Darwin” a sculettare o inclinare la schiena per offrire il proprio lato b alla telecamera. Il punto però è un altro. È l’impatto che quelle inquadrature hanno sugli spettatori sul lungo periodo. È l’assuefazione a una pornografia velata ma costante. È come quei corpi vengono ripresi. È essere trattati come animali da ammaestrare a pezzi di carne. È capire, infine, che ciò che guardiamo, se non decifrato con coscienza, può avere ripercussioni sulla nostra realtà e sul nostro immaginario sociale. La cultura che ci circonda è anche frutto di ciò che è passato sui nostri schermi negli ultimi decenni, che a loro volta hanno interpretato la realtà deformandola a nostro uso e consumo. Compreso questo, non verrà più voglia di ridere con “Ciao Darwin”.