Ciò che conta in Under the skin
“Under the skin” esce oggi al cinema e, com’era prevedibile, molti lo stanno pubblicizzando soprattutto per il nudo integrale di Scarlett Johansson, che certo attirerà orde di fan. Peccato che il nudo della Johansson in “Under the skin” sia tutto fuorché memorabile. Consiglio dunque, a chi volesse vedere questo film solo per sbavare sulle sue curve, di procurarsi i fotogrammi che da tempo girano nel web e di accontentarsi di quelli. Perché “Under the skin” non è un film facile e, se non siete preparati al suo ritmo lento e a quell’alone conturbante che lo avvolge, rischierete di sentirvi seriamente presi in giro.
Il film, diretto da Jonathan Glazer, è stato presentato a Venezia l’anno scorso in occasione del Festival del cinema, e da subito ha suscitato opinioni piuttosto contrastanti. Vi capiterà infatti di trovare persone che lo considerano noioso e lento, a tratti insopportabile, altre al contrario si diranno entusiaste dello sguardo distaccato ma visionario con cui l’aliena protagonista persegue il suo scopo.
La mia opinione rientra ovviamente in questa seconda scuola di pensiero.
“Under the skin” racconta con un cinismo straniante le vicende dell’alieno Scarlett e del suo vagare per i paesaggi di una desolante Scozia alla ricerca di uomini da immolare per nutrire un’oscura entità. La cinepresa è un occhio estraneo che azzera la morale ed eleva lo spettatore a una dimensione in cui l’umanità e il suo giudizio non hanno alcun valore, semplicemente perché il protagonista e il suo punto di vista non contemplano l’empatia, la sofferenza, l’etica.
Johansson a parte, il resto degli attori è composto da non professionisti e lo stesso Glazer ha girato molte delle scene con telecamere nascoste, per togliere dalla pellicola la patina di finzione e raccontare la realtà così come ci appare, senza quegli stereotipi tipici del genere sci-fi. Privo dunque di un’etichetta cinematografica precisa, il film può muoversi liberamente tra atmosfere che richiamano l’horror, la fantascienza, il giallo, rimanendo però dinnanzi la loro soglia, senza tuttavia utilizzare nessuno dei classici stilemi di genere. È un film di suggestioni, dove il continuo riproporsi delle stesse scene e la colonna sonora stessa diventano un espediente narrativo costante, portatore di profonde inquietudini.
Esiste in verità una parola perfetta per definire “Under the skin”: perturbante. Qualcosa di familiare cela in realtà paure e terrori sotterranei, angoscianti proprio perché all’apparenza conosciuti. Il film di Glazer è perturbante perché non indugia sulla crudeltà mostruosa della creatura aliena, ma ne descrive le poche azioni con semplicità, sottolineando un modus operandi addirittura rassicurante. Il risultato però è drammaticamente ansiogeno. Ed è per questo che “Under the skin” è un gran film, e che la Johansson nuda è solo un contorno di poco conto rispetto alla strabiliante e sapidissima messa in scena.