È giusto boicottare Michael Jackson?
Il documentario Leaving Neverland è stato mandato in onda anche in Italia suscitando non poche polemiche, le stesse scatenatasi nel resto del mondo. Micheal Jackson era davvero un pedofilo? Il processo che ha subito nel 2005 ne ha decretato l’innocenza, ma le nuove testimonianze di Wade Robson e James Safechuck sembrano smentire l’assoluzione, gettando inevitabilmente un’ombra su un personaggio già di per se particolarmente ambiguo. Il film è disturbante, comunque la si veda. Non solo per la minuziosa descrizione dei dettagli degli abusi, ma per la rappresentazione che viene raccontata dell’universo Jackson, che comprendeva bizzarrie e devianze non propriamente normali (sempre che questa definizione abbia ancora un senso, specialmente a certi livelli di notorietà).
In quel limbo dove sguazzano innocentisti e colpevolisti, diverse stazioni radiofoniche hanno cominciato a boicottare il cantante, riaprendo un dibattito eterno: possono i comportamenti non etici, addirittura illegali di un artista compromettere la sua arte? O l’arte è qualcosa che, una volta prodotta, diventa altro e si sposta dal suo creatore? È possibile dividere persona e personaggio?
Diciamoci la verità: per quanto oggi, alla luce dei fatti, possa inquietare uno come Jackson, le sue canzoni non smettono di essere pezzi miliari della storia della musica pop e probabilmente non smetteremo di sentirle per questo.
Quanto la vita influenzi l’estro e quanto sia giusto assecondarlo al di là dell’etica ce lo domandiamo dai tempi di Polanski, condannato negli USA per abuso su minore e ancora regista di successo, ma anche con Woody Allen che, sebbene non abbia compiuto un reato vero e proprio, di certo sposando la figlia di Mia Farrow si è portato dietro lo stigma dell’incesto, uno tra i tabù più grandi. Quando si scoprì che Horst Tappert (meglio conosciuto come l’Ispettore Derrick) aveva militato in gioventù tra le SS, la Rai decise di epurare il telefilm dai suoi palinsesti. Ma non per questo smettono di esistere suoi fan.
Cosa dovrebbe fare dunque lo spettatore? Alzarsi e abbandonare la platea, rifiutare il ruolo di pubblico, lasciare il messaggio senza un ricevente. Spostarsi dal bersaglio. È solo così che l’artista smette di diventare tale e il suo lavoro perde inevitabilmente di forza. Ma non viviamo in un mondo perfetto, e il pubblico, specialmente davanti a certe grandezze, non riesce a levarsi dalla loro orbita. Semplicemente perché non vuole farlo.
Per lo stesso motivo altrimenti dovremmo tutti smettere di celebrare Caravaggio: uccise un uomo, nel 1606, peraltro per futili motivi. I suoi quadri smettono per questo di essere capolavori?
Forse, per diventare spettatori di senno, il lavoro da fare è quello di separare. Separare arte e artista, persona e personaggio, riconoscergli un umanità difettosa, spesso riprovevole, ed evitare quella fastidiosa divinizzazione che vip e fanatici contribuiscono ad alimentare, creando l’illusione della perfezione e dell’incorruttibilità. Perché gli uomini sì, sono corruttibili, non ciò che creano.
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