Il caso Come mi vorrei
Ho visto il programma “Come mi vorrei” (in onda ogni pomeriggio su Italia Uno) spinta dalle polemiche che, in questi giorni, hanno imperversato un po’ ovunque, tra media e social network, dopo la petizione lanciata da una ragazza padovana su Change.org. Una petizione che ne chiedeva la chiusura, perché “Come mi vorrei” sarebbe un programma sessista e maschilista.
Se non avete avuto modo di vedere la trasmissione, ve la descrivo in breve: in ogni puntata una ragazza in crisi con gli uomini chiede consigli a Belen Rodriguez per migliorarsi e imparare i segreti dell’arte del rimorchio. Durante il programma la protagonista viene così trasformata fisicamente con l’aiuto di uno stylist, un parrucchiere e una truccatrice per diventare del tutto simile a una pin up. A ciò si aggiungono le prove a cui Belen sottopone la ragazza, per capire dove il nostro caso umano sbaglia nel relazionarsi con l’altro sesso; o consigli pratici, dal toccarsi le labbra durante un incontro per dimostrare interesse al non parlare troppo perché può irritare l’uomo. Alla fine la nostra si mostra tutta rinnovata ad amici e familiari, finalmente consapevole di dover diventare una soubrette di Mediaset per piacere agli altri.
Qui lo stralcio di due puntate:
http://www.video.mediaset.it/video/come_mi_vorrei/clip/451015/l-approccio-di-linda-con-2-ragazzi.html
http://www.video.mediaset.it/video/come_mi_vorrei/clip/455293/serena-e-pronta-a-conquistare-il-mondo-.html
“Come mi vorrei” è quindi un programma molto superficiale, molto scontato, molto sciocco. Tuttavia non trovo che chiuderlo sia la strada giusta, per diverse ragioni.
Innanzitutto perché non è l’unico format del genere presente nei nostri palinsesti. “Plain Jain” su MTV è una copia più o meno sputata, ma anche Real Time ha una folta offerta di trasmissioni simili, da “Come tu mi vuoi”, dove i mariti cambiano il guardaroba delle mogli per assoggettarle al look dei loro desideri, a “Dire fare baciare”, in cui delle giovani tamarre vengono trasformate in icone del bon ton, anche in questo caso per renderle appetibili a un pubblico maschile. Insomma, se “Come mi vorrei” dovesse chiudere, allora anche questi programmi dovrebbero in breve esser cancellati dalla nostra tivù.
In secondo luogo, “Come mi vorrei” ha tutte le caratteristiche del reality costruito a tavolino, piuttosto che dell’esempio di tivù verità. La finzione percepita genera così una distanza col pubblico atta a renderlo un prodotto di intrattenimento frivolo, non certo un format divulgativo e di approfondimento psicologico.
La nostra società propone di continuo, alle donne, modelli effimeri a cui aspirare per liberarsi dalla normalità di una vita ordinaria, fatta di pigiamoni e tute in pile, agli antipodi della sensualità e dell’eleganza professata da ogni guru dello stile. “Come mi vorrei” è solo l’ennesimo esempio di manipolazione mediatica. Fa dunque parte di un bombardamento talmente incessante da risultare alla fine un programma innocuo, alla luce del volto scelto per presentarlo, dell’emittente in cui va in onda, dei consigli banalotti snocciolati in ogni puntata. È la sua leggerezza a renderlo inoffensivo. D'altronde, a chi interesserebbe una trasmissione dove le donne affrontano il rapporto con gli uomini attraverso una specifica analisi della personalità o tramite un percorso spirituale? La noia.
A questo punto è il pubblico che dovrebbe saper interpretare il messaggio di certi programmi, discernendo contenuto e qualità. Convogliando magari la propria attenzione in format differenti. Perché, al di là delle petizioni, l’unica arma per estirpare dai palinsesti tivù questo tipo di trasmissioni è non guardarle. Solo abbassando lo share infatti, a un certo punto gli autori capiranno che tira una nuova aria, una nuova consapevolezza, un vero cambiamento.
Ma fino ad allora tutto rimarrà così com’è, con donne disposte a lasciarsi condizionare per affermarsi nella vita e negli affetti. E una televisione che risponde all’occorrenza.