La minestra riscaldata dei live action Disney
Perché la Disney continua a proporre live action tratti dai suoi classici più celebri?
Un ripasso veloce e sommario, senza usare Google, andando a memoria: c’è stato “Maleficent”, “La Bella e la Bestia”, “Dumbo”, “Aladdin” e il recentissimo “Il Re Leone”, a breve “La Sirenetta”, “Mulan” e “Lilli e il vagabondo”. È questo il futuro del colosso dell’animazione? Rigirare prodotti di già collaudato successo in chiave umana, senza particolari innovazioni se non quelle date dalla grafica e dalle nuove tecnologie multimediali?
Di fronte a questo scenario sono diverse le osservazioni possibili.
1. Il target.
Innanzitutto è bene chiarire a chi sono rivolte questo tipo di produzioni: gli adulti. È palese infatti che riproporre sul grande schermo con effetto reale un cartone animato come “Il Re Leone” attrarrà più i ragazzi cresciuti, attuali genitori magari, che quel film ce l’hanno nel cuore, piuttosto che gli attuali bambini. Domandiamoci infatti: quanta attrattiva visiva ha un cartone animato alla vecchia maniera piuttosto di un film più realistico, per un bambino? Senza scomodare la psicologia infantile ma solo il buon senso, è chiaro che un cartone animato, è preferibile a una mera trasposizione verosimile, reale, da documentario alla National Geographic. Nel cartone il disegno semplifica i tratti e i colori possono essere usati per dare maggior rilievo a emozioni ed espressioni, nella realtà… lo spazio all’immaginazione è ridotto alle capacità intellettive e creative del bambino stesso, se ne possiede, se vengono stimolate a dovere anche nella vita di tutti i giorni.
2. L’effetto nostalgia.
Ne ho già parlato nei precedenti post: stiamo assistendo a un gran numero di revival fondamentalmente perché è più facile rifugiarci nel passato, che ci appare sempre più confortevole rispetto al futuro o anche solo al presente. E poi costa meno, per i produttori.
3. L’adultizzazione del bambino.
È un processo sottile, ma lampante. Il realismo gioca la sua carta contro la creatività data dal tratto animato e comporterà, sul lungo periodo, una degradazione della fantasia nei più piccoli, a cui viene sottratta la capacità di sperimentare una visione fantastica. Non è uno scenario appurato, magari questo è solo un periodo, ma è giusto soffermarsi a riflettere sulle conseguenze di tale genere.
4. La (forse temporanea) scomparsa del cartone animato tradizionale.
Da quanto tempo la Disney non propone un nuovo film d’animazione vincente? A memoria, l’ultimo vero cult è stato “Frozen Il regno di ghiaccio”, ed era il 2013.
5. Bisogno di denaro.
Chiaro che i punti elencati i precedenza siano contenuti in una gigantesca operazione di marketing, in un momento storico in cui le idee vincenti evidentemente scarseggiano e conviene puntare sull’usato sicuro (escludiamo l’ondata dei film a tema supereroi).
Prepariamoci dunque: prepariamoci alle minestre riscaldate da favolosi effetti speciali ma che in sostanza rimangono sempre minestre. Il gusto nuovo sarà probabilmente offerto da polemiche e battage pubblicitario: nuovi volti, provocazioni studiate (come l’innovazione della Sirenetta di colore Halle Bailey), chiacchiericcio da social, confronti sulle precedenti produzioni, commenti sul “preferivo il cartone”. Fino al prossimo live action, fino a quando saranno a uno a uno riproposti tutti, e finalmente la Disney sarà costretta a inventarsi qualcosa di nuovo.
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