La vera paura di Scorsese
È da almeno un mese che va avanti il botta e risposta tra Scorsese e altri del mondo del cinema (Coppola, Samuel L. Jackson, per citarne alcuni) a proposito della querelle infinita sui film Marvel, che il regista italoamericano ha paragonato a dei parchi giochi ben lontani dal cinema vero.
Ora, il dibattito è di quelli eterni, di quelli che vedono schierati i cinefili duri e puri amanti dei film d’autore e quelli aperti anche al solo intrattenimento (una volta si diceva da Blockbuster, bei tempi). Eppure, ragioniamo: è davvero così? Davvero i supereroi non possono ambire a diventare cinema di qualità, ma devono sempre essere visti con la lente del fumettone colorato a tre dimensioni senza un minimo di spirito critico?
Trovo assurdo che Scorsese pensi davvero che i film superomistici non riescano a veicolare valori profondi o, addirittura, siano una forma d’arte inferiore: è tempo di arrendersi al fatto che Spiderman, Batman, Captain America, Hulk e compagnia bella offrano molteplici spunti di lettura del contemporaneo, incarnando quel senso del sacrificio e quella sofferenza tali da diventare esempio per gli spettatori. Le loro storie sono metafore esplicite, racconti epici dell’era moderna, capaci di raccogliere le inquietudini e le paure di una società che, dall’11 settembre in poi, è alla continua ricerca di paladini su cui sognare e a cui affidarsi simbolicamente. Non è solo una questione di effetti speciali da parco a tema: impariamo a sfogliare la copertina, che magari non sarà riccamente stratificata, ma va oltre una lettura semplicistica del genere.
Che il resto del cinema poi sia fatto di storie minori, meno impressionanti, meno dichiaratamente leggendarie, non significa che sia da considerare migliore perché più vero e onesto. Finché c’è posto per tutti, nessun confronto avrà senso di esistere.
Di cos’ha davvero paura allora Martin Scorsese?
Perché, sapete, certe dichiarazioni non possono essere ridotte a un’eterna lotta di supremazia tra generi. Piuttosto, si può trovare risposta nell’esagerato spazio che i cinecomic hanno trovato nelle sale cinematografiche degli ultimi vent’anni. Uno spazio alimentato dall’esorbitante giro di denaro che producono, da una fandom nutrita e anagraficamente varia, forse da una scarsa alternativa autoriale degna. La mia personale idea dunque è che Scorsese abbia paura di aver perso spazio e potere all’interno di un mondo che non riconosce più e verso un pubblico che spesso sembra preferire la via facile dello scontro tra eroi. È una questione di ruoli, di soldi, di influenza (d’altronde senza Netflix il suo ultimo lavoro non sarebbe stato finanziato). E questo sì, è un problema.
Qualcuno potrebbe suggerire, come soluzione, una commistione tra generi: ciò che sta avvenendo con Joker, per esempio. È come un ibrido perfetto, buono abbastanza da essere oggetto di analisi di addetti ai lavori, ma facile anche per l’ultimo spettatore occasionale, che ha scoperto di sguincio il film d’autore dopo anni di cinema targato Marvel e si sente investito da una luce di improvvisa intellighenzia.
O forse, bisognerebbe semplicemente rassicurare Scorsese. Finché non perdi smalto, non c’è nulla da temere, né servono le provocazioni: i tuoi fan verranno lo stesso a vedere The Irishman al cinema (dal 4 novembre), non perché c’è Iron Man tra gli attori, ma perché ci sei tu dietro la macchina da presa.