L’inutilità de Il Collegio
Il reality "Il Collegio" è da poco terminato, ma vale la pensa spenderci due parole. Un gruppo di adolescenti rimbalzati indietro nel tempo per vivere l’esperienza scolastica degli anni ’60. È questo il soggetto alla base del programma, andato in onda su RaiDue. Chiusi nell’ex Collegio Celana a Caprino Bergamasco, i partecipanti hanno rinunciato alle numerose comodità dell’era moderna, da internet al cellulare, per provare ad assaggiare la vita di uno studente del passato, fatta di divise, ordine, levatacce mattutine , regole rigide e inflessibili.
Il risultato è un programma che piace a tutti quelli del partito “si stava bene quando si stava peggio”, quelli che vedono nel passato un rifugio salvifico e sicuro, ricco di valori in disuso e saldo nei principi trasmessi dall’istituzione scolastica. Un’istituzione che tuttavia ha oggi un significato diverso da quello di sessant’anni fa, dove il ruolo educativo è equamente diviso anche tra società e famiglia. Ed è qui il punto debole dello show: veicolare il messaggio che fosse meglio la rigidità, l’intransigenza, la lezione frontale con l’insegnante che spiega al di là della cattedra e lo studente muto ad ascoltare la lezione, soldatino buono e obbediente. Una realtà smentita nei decenni da nuovi studi sulla didattica, da sperimentazioni sull’insegnamento alternativo, fatto di dibattiti, lavori di gruppo, comunicazione partecipe e attiva, tra insegnante e alunno. Un mondo altresì cambiato insieme alla stessa società e che per questo, se forzatamente evocato, non può che risultare inefficace.
Qual è la vera utilità dell’esperimento? Se fosse quella di punire l’adolescente medio mostrandogli la durezza di una vita di privazioni, il fine educativo perderebbe di valore: non è con le privazioni che si insegna a stare al mondo, semmai mediandone la presenza all’interno della vita quotidiana. Se invece lo scopo fosse quello di mostrare la bellezza di una vita semplice, anche in questo caso non si riuscirebbe davvero nell’intento: a un giovane si può sottrarre il cellulare per qualche settimana, ma una volta tornatone in possesso, basterebbero pochi giorni per vanificare il senso del digiuno digitale. Sarebbe piuttosto da spiegargli come si convive con le nuove tecnologie, evitando di esserne fagocitati, ma siccome gli stessi adulti fanno fatica a farlo, sembra più facile eliminarle con la finzione di uno show.
D'altronde è proprio questo uno dei tanti trend battuti in televisione: quello della mortificazione, dell'umiliazione sottile e sotterranea, affinché il pubblico goda un po' nel deridere il concorrente, in un gioco un cui è chiaro il desiderio di rivalsa del pubblico nei confronti di chi sta davanti la telecamera. Per aumentare ancora un po' il divario tra noi e loro.
Ne “Il Collegio” poi, si nasconde un atto di pigrizia, dove gli adulti si compiacciono della severità contro i più giovani, ed evitano accuratamente di percorrere un’alternativa educativa adatta ai bisogni contemporanei, difficilissima da realizzare perché noi stessi adulti, spesso, non riusciamo a limitare i contorni di ciò che oggi definiamo importante. Non a caso pare che gli stessi personaggi del reality siano in realtà pescati tra le fila di attori in erba, per cui evidentemente l’unico traguardo è intrattenere nascondendosi però dietro una funzione educatrice che davvero non ha ragione d'essere nè per i protagonisti, nè per il pubblico a casa.