L’uomo su Marte
Prosegue il successo del genere sci-fi, e non solo per il ritorno di Star Wars, previsto a dicembre. Questa settimana esce “Sopravvissuto – The Martian” di Ridley Scott con Matt Damon, tratto dal libro di Andy Weir “L’Uomo di Marte”. La storia in breve racconta la vicenda dell’astronauta Mark Watney abbandonato per errore su Marte dal suo equipaggio durante una missione. Costretto suo malgrado a fare i conti solo su se stesso e sui pochi viveri lasciati dai suoi compagni, l’uomo dovrà riuscire a sopravvivere nel pianeta rosso fino all’arrivo di una nuova missione di recupero, prevista non prima di quattro anni.
La trama è avvincente e curiosa, in un momento in cui il cinema di fantascienza spopola ai botteghini dopo i pluripremiati “Gravity” e “Interstellar”. Ciò che tuttavia rende questo film degno di nota è anche l’interesse mai sopito che gravita attorno a Marte stesso, un pianeta che continua a rivelarsi anche attraverso incredibili scoperte, come il recente ritrovamento di acqua salata, che apre scenari circa una possibile vita extraterrestre.
A questo si aggiunge l’idea suggerita dalla trama, quella di vedere, un giorno, l’uomo sopravvivere in un pianeta diverso dalla Terra. Un’ipotesi non troppo lontana dalla realtà, se è ancora in piedi il progetto Mars One, che prevede lo stabilirsi di una colonia umana permanente sul pianeta rosso a partire dal 2025. Per chi non conoscesse la bizzarra ma affascinante storia di questa missione, qui e qui alcuni link utili: l’impresa prevede il reclutamento di volontari disposti ad abbandonare definitivamente la Terra per ripopolare Marte in un viaggio senza ritorno e, udite udite, tra i volontari accettati per la missione, spicca un coneglianese, tale Pietro Aliprandi, venticinquenne appassionato di astronomia.
Certo, viene da chiedersi cosa porta una persona a decidere di lasciare volontariamente il proprio pianeta, con le difficoltà che un viaggio del genere comporta e la consapevolezza di non rivederlo mai più. E d’altronde sono proprio storie come “The Martian” a interrogarsi sulla solitudine umana metaforizzata in un soggiorno alieno: da sempre il genere sci fi non racconta solo incredibili progressi fantascientifici, guerre intergalattiche ed eccezionali incontri ravvicinati del terzo tipo, ma prova a spiegare l’uomo a partire proprio dalla sua natura terrestre, osservando la sua evoluzione (o involuzione) da anni luce di distanza. In fondo non è vero che una situazione la si guarda meglio osservandola dall’esterno? Quale posizione migliore allora che guardarla da un altro mondo?