Stormi, storie di migranti e accoglienza nel vittoriese
C’è una frase che uno degli extracomunitari protagonisti del documentario “Stormi” di Stefano Faraon, dice a un certo punto. Spiega che, camminando per le strade di Vittorio Veneto, si è accorto di come ci fosse chi, al suo passaggio, cambiasse volutamente marciapiede e di come questo comportamento gli abbia trasmesso paura e diffidenza. Di più, gli ricordava l’atteggiamento che alcuni libici avevano avuto con lui.
Il documentario, finanziato dal Comune di Vittorio Veneto e dalla Consulta dell’Associazionismo Culturale vittoriese, con il contributo delle associazioni Il Mondo di Tommaso, 12 Ponti, La Fabbrica dei Coriandoli e Rete di Cittadinanza solidale, ti costringe a una sorta di personale rivoluzione copernicana del pregiudizio. Perché il cliché che viviamo quotidianamente ci mostra la nostra paura, il timore del diverso, lo spauracchio dell’immigrato.
Invece, ecco un altro lato della realtà: forse siamo noi a fare paura. Siamo noi a spaventare con le nostre facce cupe, con gli sguardi sbiechi, i commenti sottovoce, o i proclami seguiti in piazza o in televisione.
Siamo noi lo spauracchio.
Il documentario racconta con delicatezza e onestà la vita di chi si ritrova a Vittorio Veneto dopo un viaggio terribile, per i più impensabile, una vera e propria deportazione che dall’Africa Centrale passa per la Libia e, da Tripoli, costretto in barconi dove la morte a un certo punto può diventare addirittura un sollievo.
Chi sbarca in Sicilia poi racconta il resto: l’arrivo a Vittorio Veneto, l’impatto con un clima difficile (molti si ritrovano a dormire all’aperto, anche in inverno), il CEIS, l’esperienza presso la casa dell’Associazione 12 Ponti e il lavoro, indispensabile.
Colpiscono gli occhi e gli sguardi, come quello di Badian, che oggi lavora presso un’azienda agricola e si occupa degli animali e dell’orto, ancora quando il resto della città dorme.
Colpiscono poi le parole dei volontari e il loro lavoro: perché assieme ai disagi effettivi che queste persone provano, esiste, grazie al cielo, una rete di persone che collabora e che aiuta come può. Chi gestisce le pratiche amministrative, chi si occupa di insegnar loro un mestiere, chi ancora li aiuta con i rudimenti della grammatica italiana, giusto per sapersi muovere tra documenti e persone.
Chiamatelo spirito di carità, desiderio di far del bene o come volete, ma è questo il legame fondamentale tra “noi” e “loro”, il cui scopo è proprio quello di assottigliare il divario che ci delimita e ci isola gli uni agli altri, e “Stormi”, ne è la riuscita dimostrazione.