Venezia 76 e quei riflettori su Polanski
L’affaire Polanski è oggettivamente appassionante, ancora oggi che vince il premio della giuria a Venezia per “J’Accuse”.
Sono dell’idea che l’oggetto d’arte in sé non debba necessariamente sottostare a leggi morali, ma l’artista sì. Gli uomini sono un’altra cosa (ne ho parlato anche qui, a proposito di Michael Jackson e le sue accuse di pedofilia).
Viviamo in un’epoca di grande sensibilità e sovraesposizione mediatica nei confronti di certi temi (pensiamo al #metoo), e l’esaltazione di qualcuno ancora in vita e ancora invischiato in una brutta storia di violenza sessuale è qualcosa di intollerabile.
Il tempo diluisce il dolore solo per chi non l’ha provato. Avrei fatto molta più attenzione fossi stata nella giuria di Venezia (in un mondo parallelo, in un altra galassia), a selezionare le pellicole in concorso. Adoro Polanski come regista, ma come essere umano di fronte alla legge no.
Rimane un latitante.
Rimane qualcuno che in parte usa il suo ruolo per rimanere impunito. Preferirei gli si facessero riconoscimenti solo dopo una sentenza, solo dopo che quella storia che lo riguarda finisse con il coraggio di mostrarsi di fronte a un giudice e alla vittima coinvolta. Sono questi i messaggi contraddittori che manda il mondo dello spettacolo e se non lo fanno gli addetti ai lavori, impegniamoci noi a fare attenzione a chi mettiamo sui piedistalli.
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