Vent’anni fa il Grande Fratello
Vent’anni fa, VENTI ANNI FA, cominciava la prima edizione del Grande Fratello e le nostre esistenze da telespettatori non sarebbero mai più tornate quelle di prima. Il GF è stato uno spartiacque netto e definito, che ha trasformato i palinsesti televisivi portando un’invasione estrema di quella che all’inizio pareva essere lo sperimentalismo della tivù verità, l’esperimento antroposociologico per eccellenza, ma che ha invece portato a un’esplosione di personaggi più o meno longevi, più o meno discutibili, sui nostri teleschermi. Le reazioni che a questo punto molti potrebbero avere sono di disgusto mischiato a un certo rifiuto snob del genere, essendo considerati i reality come lo scempio e la quintessenza dello squallore a buon mercato, oltre che il riflesso della degenerazione culturale del Paese.
Tuttavia i primissimi concorrenti del GF, da Pietro Taricone a Marina LaRosa, da Rocco Casalino a Salvo Veneziano, non avevano idea di cosa gli sarebbe aspettato una volta fuori. Al netto di ciò che è poi diventata la trasmissione negli anni, comprese le edizioni vip, la vera riflessione che da pubblico dovremmo farci è cos’è successo in quei primi tre mesi di programma. Perché a cambiare quei concorrenti, a farli diventare icone popolari, siamo stati noi DURANTE quel periodo. È come ne sono usciti ad averli cambiati per sempre e ad aver portato il programma ad essere emblema della scorciatoia verso il successo, in qualunque modo si potesse ottenere.
Non sarò mai schierata insieme a quelli che storcono il naso di fronte ai reality: alcune sue deviazioni, dai talent ai docu reality, dai cooking show ad altre forme di intrattenimento, sono diventate il fulcro su cui si snoda gran parte della narrazione televisiva odierna e che in alcuni casi ha offerto momenti spensierati e piacevoli di fronte allo schermo, per innovazione e sperimentalismo.
Non ignoro tuttavia il percolato fuoriuscito da certe stagioni e la scelta autoriale di dare voce a chi non aveva nulla da dire, o che nemmeno avrebbe dovuto avere diritto a telecamere e microfoni. Ed è tuttora una scelta che ci portiamo dietro, visto che il panorama dell’intrattenimento non ha, ad oggi, alternative valide a questo format, che ha fagogitato tutto il resto attorno a sé.
Ciò nonostante è anche il pubblico a fare i programmi. E quindi un pensiero a questi ultimi vent’anni non lo dobbiamo fare semplicemente guardando cos’è successo come turisti passivi allo zoo. Perché noi abbiamo pagato il biglietto, noi ne abbiamo parlato, bene o male, noi per primi siamo stati avviluppati dalle spire dello show. E poco importa che ci sia qualcuno che alza la mano protestando “Ma io veramente guardo solo RaiStoria”. O ci rendiamo conto che la maggioranza del Paese fa vivere questo tipo di trasmissioni, abbracciando anche la parte sana del fenomeno come si accetta l’esistenza della musica trap, oppure siamo destinati al fallimento. Nessuno sopravvive chiudendosi nella sua nicchia. Celebriamo questi vent’anni di reality dunque, ma lavorando per una televisione nuova e migliore tra altri venti, sostenendola quando fatta bene, alzando la voce o spegnendola quando fatta male. Educandoci ed educando al meglio.
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