Studenti fuori controllo e potere simbolico del linguaggio: bulli? No, violenti.
Antonella T. è una supplente con problemi di deambulazione, la quale sarebbe stata circondata da dieci studenti, legata con lo scotch alla sedia (sedia che poi sarebbe stata ripetutamente presa a calci dalla banda) nonché derisa su Instagram con tanto di filmato.
L’orrendo episodio sarebbe avvenuto in una prima dell’Istituto Tecnico Commerciale Statale “Leonardo Da Vinci” di Alessandria. Un ragazzo di un'altra classe, accortosi di quanto stava accadendo, avrebbe allertato un bidello, liberando dalle grinfie dei prevaricatori la povera donna.
Che risoluzione ha preso il Consiglio d’Istituto? Ha deciso forse di sospenderli in massa con effetto immediato per tutto il 2018, bocciatura inclusa? Nossignori! Ha condannato il branco e tutta la classe a un mese di sospensione (ma con obbligo di frequenza: qualcuno mi spieghi che senso abbia “sospendere” con obbligo di frequenza perché a me sembra solo una contraddizione totale), commutato nello svolgimento di lavori “(in)utili”: per un mese, a gruppi di tre, dovranno svuotare i cestini della scuola.
Fermo restando che se dipendesse da me li avrei denunciati, sospesi tutti e dieci per l’intero 2018 con una sonora bocciatura come ciliegina sulla torta e che per tutto il 2019 avrei obbligato loro e il resto della classe a pulire i gabinetti, intasati o meno, di tutto l’Istituto (lavoro fin troppo edificante, perché coloro i quali puliscono i bagni per mestiere hanno una dignità e una professionalità che questi soverchiatori non riescono a immaginare) senza guanti, oltre che a scrostare le gomme da masticare dai banchi con lo spazzolino da denti, non riesco a capire come un’azione del genere possa essere stata depenalizzata e deprivata del suo ignobile significato, a partire dalla definizione: si tratterebbe di goliardia.
Dal canto suo il Preside minimizza: “Due o tre ragazzi l’hanno presa in giro, non è stata né legata né presa a calci”, anche se a quanto pare avrebbe denunciato l’episodio alla Polizia Postale. La professoressa, invece, non ha sporto denuncia ed è intenzionata a perdonare i suoi studenti, così come riporta la Repubblica: “Sono ragazzi del biennio, si sa come sono fatti […] Erano una decina, mi hanno un po’ derisa, fatto scherzi. Sono stati richiamati”. Domanda dell’intervistatore: “Ma l’hanno legata con lo scotch e presa a calci?”; Risposta: “Mi hanno circondata e mi hanno fatto scherzi. Mi spostavano la cattedra, io ho difficoltà a deambulare e loro allontanavano il tavolo. Ma ripeto, sono stati presi provvedimenti”. La professoressa vessata ci fa sapere che si sono anche scusati. Ah, però! Che fior fiore della gioventù, pensate, si sono anche scusati per le loro malefatte!
Di un diverso parere sarebbero alcuni insegnati dell’Istituto, secondo loro la “punizione” è troppo blanda.
I giornali, dal canto loro, archiviano l’episodio alla voce “bullismo”. Perché, se hai meno di 18 anni, non sei un delinquente, sei un bullo. Per me un bullo è un tipo con troppa brillantina sui capelli e l’aria strafottente, uno sorta di Danny Zuko, lo spaccone dal cuore tenero di Grease.
Invece nell’Anno Domini 2018 un bullo è, nell’ordine: chi tormenta per anni interi un compagno/a di classe con aggressioni fisiche e verbali, portandolo/a talvolta al suicidio; chi sfregia la professoressa perché ha preso un cattivo voto; chi umilia persone afflitte da disabilità più o meno gravi, siano compagni di classe o insegnanti.
Questa piaga sociale è talmente grave che nel 2016 gli studenti dell’Istituto Galilei-Costa di Lecce, coadiuvati da Daniele Manni, il loro professore di informatica, hanno fondato il “MaBasta”, Movimento AntiBullismo Animato da STudenti Adolescenti, un’associazione attiva a livello nazionale nata per informare, consigliare, supportare e sostenere le vittime del cosiddetto bullismo e le loro famiglie (hanno anche un sito Internet e la pagina Facebook).
Ma non c’è tempo per essere solidali con le vittime, bisogna sbrigarsi a indagare le cause del gesto, recuperare i soggetti instabili, riabilitarli. Cercare la responsabilità nella scuola, nella famiglia e nei parenti tutti fino al quarto grado, nella società.
Non si può essere una mela marcia, un soggetto pericoloso. Non si può essere bocciati, criticati, biasimati, puniti, non si può non essere non perdonati.
Nel 2018 non si può essere considerati né vigliacchi né instabili. E bisogna soppesare le parole, privarle del loro potere simbolico. Se un minorenne, magari un mio studente, dà fuoco alla mia auto con me dentro, così per sport, non posso dirgli “Disgraziato, adesso ti denuncio e spero che tu marcisca per il resto della tua miserabile vita nelle patrie galere, nelle stesse condizioni in cui viveva il Conte di Montecristo prima di fuggire”. Ancora convalescente, devo rivolgermi a lui con delicatezza, ancora fra le bende, sussurrargli con dolcezza: “Dimmi caro, cos’ho fatto di così sbagliato da averti portato all’esasperazione? Potrai mai perdonarmi?”.
Perché in questa società, la vittima è il carnefice e il carnefice è la vittima. Soprattutto se non ha ancora compiuto 18 anni. E in special modo se la violenza si consuma tra le mura di una scuola. In un battibaleno si è passati dalle orripilanti punizioni corporali e dalle vessazioni psicologiche, fatte di scappellotti, inginocchiamenti sui ceci, vergate sulle mani e cappelli d’asino, al lassismo più totale. Non esistono più metodi di correzione, sospensioni e bocciature comprese.
I professori al giorno d’oggi non possono fare alcunché per tutelarsi, per difendersi. Sembra quasi la legge del contrappasso, l’occhio per occhio dente per dente di biblica memoria, devono scontare loro tutti i peccati compiuti dagli insegnanti autoritari e sadici di qualche decennio o secolo fa.
Se lo studente è un violento, un sadico, deve essere assolto e l’indulgenza plenaria comincia dalla lingua italiana.
Io dico BASTA. Cominciamo a dire NO anche e soprattutto attraverso le parole, iniziamo a chiamare le cose col loro nome.
Perché la parola possiede un potere che noi non possiamo nemmeno immaginare. Bulli? No, si tratta di violenti, di sadici. E come tali vanno puniti, per tutelare studenti e insegnanti che hanno a che fare con loro.
È necessario non sottovalutare il potere simbolico della parola: solo chiamando il mostro col suo nome, sarà possibile esorcizzarlo, sconfiggerlo.
Esclusivamente attraverso una rivoluzione, che parta anche da quella simbolica del linguaggio, le vittime, umiliate da questi violenti, potranno finalmente rialzare la testa, trovare il coraggio di denunciare. Restituiamo alle parole il loro giusto valore, affinché il loro peso sia determinante nella ricerca della verità e la bilancia della giustizia ricominci a funzionare.
Sito Internet di MaBasta, Movimento AntiBullismo Animato da STudenti Adolescenti: http://www.mabasta.org/