La disfatta calcistica Azzurra e la nostalgia per le Nazionali di qualche anno fa
Non sono una patita di Calcio, ma provo un certo affetto per le nazionali italiane di qualche anno fa.
Il mio pensiero va a Pagliuca, Albertini, Baresi, Baggio, Casiraghi, Maldini e rifletto sul fatto che, pur essendo all’epoca solo una bambina, mi ricordo perfettamente i loro volti.
Non mi vengono in mente braccialetti colorati, tatuaggi, pettinature inamovibili o particolari scandali inerenti la vita privata del singolo ma solo facce pulite e molto serie, i volti di veri professionisti dello sport.
In tempi recenti ho sempre seguito i Mondiali di Calcio benché non assiduamente e la cosa sconcertante è che dal 2010 in poi faccio fatica a focalizzare nomi e fisionomie di calciatori che non siano Totti, Buffon e Del Piero.
Non mi sovviene il nome di un giocatore che sia uno, a parte i soliti noti sopracitati. Se mi chiedessero i risultati degli ultimi due Mondiali, non saprei fornire una risposta. E più mi sforzo di ricordare cosa sia accaduto e più mi torna alla memoria Cannavaro che solleva la coppa del mondo nel 2006, giuro.
Tornando ai giorni nostri, ammetto che sia stato deprimente non accedere a Russia 2018, ma a onor del vero mi scopro poco sorpresa del disonorevole risultato che gli Azzurri hanno portato a casa.
Se perfino io che sono una profana del gioco Calcio mi rendo conto che sia sconcertante non riuscire a battere la Macedonia (da quello che mi risulta non è una squadra con una particolare e gloriosa tradizione calcistica), suppongo che nemmeno i più esperti saranno stati colti di sorpresa dal fatto che la Svezia abbia buttato fuori l’Italia senza tanti complimenti.
Tra l’altro ho letto che l’unico precedente lo dobbiamo andare a pescare nel 1958, in pratica è come se la (poco) premiata ditta Tavecchio & Ventura avesse vinto il secondo Tapiro d’oro calcistico più grande del mondo, si sono aggiudicati il primo premio alla lotteria del demerito calcistico italiano del XXI secolo.
A differenza dei “protagonisti” del 1958 non avranno nemmeno diritto al balsamo della damnatio memoriae (tanto è vero che non avevo la più pallida idea del fatto che l’Italia non si fosse qualificata nella seconda metà degli anni ’50, il fattaccio era stato ben nascosto sotto il pesante tappeto della memoria) perché tra Internet, filmati e via discorrendo saranno costretti a rivedersi in eterno, in un loop temporale fatto di Forche Caudine perenni.
Ora l’opinione pubblica, quale moderna Giuditta, reclama le teste dei due Oloferne del Calcio italiano su un unico piatto d’argento, nel senso che invoca a gran voce le loro dimissioni ma ammetto che la cosa mi fa masticare comunque amaro perché nel Belpaese non se ne va alcuno di sua spontanea volontà, nemmeno quando le responsabilità sono macroscopiche.
Così come mi irritano considerazioni standard del tipo “l’itaglia va a rotoli, dove sono i marò, si va in pensione a 100 anni ma questi pensano al calcio e Renzi che fa, non esistono più le mezze stagioni, itagliani sveglia?!!”. Nota dell’autrice: gli orrori grammaticali sono d’obbligo in esternazioni di questo tipo.
In realtà in un Paese in cui tutto pareva e pare andare a rotoli era ed è tutto sommato consolatorio dominare la scena almeno in ambito sportivo (penso al calcio, al basket e alla pallavolo di qualche anno fa). Ora ci hanno sottratto perfino questa magra soddisfazione.
E sfogliare l’album dei gloriosi ricordi sportivi italiani non è d’aiuto.
C’è chi sostiene che il Calcio necessiti di una riforma ma a mio parere neppure Lutero in persona potrebbe apportare il benché minimo contributo, ormai.
Penso che ora come ora nel Calcio contino solo i quattrini, perfino il pallone non è più bianco e nero, ce ne sono di tutti i colori, lo stesso vale per le magliette e gli sportivi sembrano modelli usciti da una rivista patinata. Si cerca di lucrare su tutto e il Calcio è una vera e propria multinazionale, un brand: temo si tratti di un processo irreversibile.
Ma queste sono le mere considerazioni di una profana del Calcio nostalgica. A questo punto, come direbbe Gaber, meglio farsi uno shampoo e non pensarci più.