Gianni Rodari: la poetica dell’infanzia per un’infanzia poetica
Ultimamente, esasperata dalla grettezza dei messaggi veicolati dai mezzi di informazione, ho riletto Grammatica della fantasia di Gianni Rodari, opera che celebra l’importanza dell’immaginazione nel processo creativo dell’adulto ma anche e soprattutto nell’educazione del bambino.
Confrontarmi nuovamente con questo testo mi ha permesso di tornare con la memoria agli anni della mia infanzia e di pormi la seguente domanda: al giorno d’oggi è veramente possibile per un bambino apprendere qualcosa di non dico intelligente ma almeno sensato, giocando, così come accadeva appena una manciata di decenni fa, quando la realtà non era ancora smaccatamente satura di contingenze negative e attività alienanti?
Per quanto mi riguarda fra le prime cose che ricordo nitidamente ci sono i libri (non videogiochi, telefonini, PC e compagnia bella): i volumi della Dami Editore superbamente illustrati da Tony Wolf, le Fiabe Sonore della Fabbri Editori, la collana Beccogiallo musicale della Mursia, solo per citare quelli ai quali ero/sono più affezionata.
Quante volte, ancor prima di imparare a leggere, ho ascoltato Lo Schiaccianoci, oppure Il Carnevale degli animali, o ancora La cosa più incredibile, mentre guardavo estasiata le figure, impaziente di imparare a decifrare quei misteriosi simboli neri tutti in fila che racchiudevano chissà quali meraviglie!
Questo caleidoscopico universo di musica, favole e colori al quale ho avuto la fortuna di attingere sin dalla più tenera età ha fatto sorgere in me un precocissimo amore per la parola, o per meglio dire per il bel parlare, tanto che quando finalmente ho iniziato a frequentare la prima elementare ero rapita dal modo in cui la maestra scandiva le sillabe nonché impressionata dall’infinità di combinazioni che le lettere potevano formare.
Ma la mia vera, importantissima scoperta fu la poesia attraverso Carnevale di Gianni Rodari. Il tema già di per sé mi affascinava (quante maschere e personaggi della commedia dell’arte ho disegnato e colorato grazie all’inesauribile fantasia delle mie insegnanti! Giravo con certe “cartucciere” da 36 pennarelli Carioca da fare invidia a Iridella e Rambo messi insieme), ma quello che mi entusiasmava davvero era la certezza che anche le parole potessero essere armoniose tanto quanto le note musicali.
Leggere diventava semplice, divertente e immediato come lo era per me il gesto di infilare le perline per creare una collana: una frase tirava l’altra, tutte servivano a comporre un insieme fantastico.
Avevo una naturale inclinazione per le rime, per le assonanze e per i giochi di parole, mi meravigliava che bastasse una sola consonante a modificare il senso di quello che leggevo, che un apostrofo potesse fare la differenza, nozioni che ho di lì a poco consolidato leggendo L’ama, altra geniale filastrocca del noto giornalista e scrittore.
Questi sapienti fuochi d’artificio verbali hanno suscitato la mia curiosità circa un tema solitamente ostico per grandi e piccini: l’ortografia. E si sa, il desiderio di conoscere nelle bambine e nei bambini è il carburante indispensabile per compiere ogni singola azione, presente e futura.
Perché se a prima vista la vera e unica dimensione possibile per l’infanzia è quella della contemporaneità (fino a una certa età è praticamente assente una concezione scientemente elaborata di passato, una visione per così dire più complessa del proprio vissuto, ciò che conta è l’hic et nunc), non dobbiamo dimenticare che il bambino di oggi sarà l’adulto di domani, che le inclinazioni, le passioni e gli interessi si sviluppano nei primi anni di vita.
Malgrado a parole siano tutti convinti sostenitori dell’importanza di vivere un’infanzia che sia tale sovente mi capita di osservare che i bambini, complice il mondo che li circonda, scimmiottano gli adulti con risultati penosi.
Sono tutti presi da smartphone, tablet, computer e Gianni Rodari non sanno proprio chi sia. Col fatto che ora esistono i canali tematici con cartoni animati random 24 ore su 24 gli infanti vegetano davanti allo schermo quasi fossero zombie (senza contare l’orribile tendenza delle più svariate emittenti televisive a mandare in onda roba del calibro di CSI alle sette di sera: davvero incommentabile).
Nei casi più estremi capita d’imbattersi in tale e talaltro programma televisivo nel quale il bimbo di turno cucina con piglio risoluto da navigato cuoco o canta brani musicali assolutamente inappropriati ma con l’aria di saperla lunga: e in tutto questo la poesia che dovrebbe essere intrinseca almeno nell’esistenza di un bambino avvizzisce come un fiore reciso.
Se il contesto è di un’aridità preoccupante bisogna dire che i genitori sovente sono privi di quella delicatezza d’animo necessaria affinché un bimbo impari a cogliere il bello in quello che lo circonda, (sof)fermandosi, che so io, a osservare le foglie che cadono in autunno piuttosto che le onde create da un sassolino gettato nelle placide acque di un fiume.
In questo mondo sempre più a misura di adulto e sempre meno di bambino più che una grammatica della fantasia servirebbe un abbecedario delle emozioni: urge la riscoperta di una poetica dell’infanzia per garantire un’infanzia realmente poetica.