2013: Odissea nello Spazio (Archeologico)
Potrei dissertare improvvisandomi Dan Brown unendomi al coro di voci (stonate) che tenta di dipanare il bandolo della matassa di ipotesi circa il fatto che (Non) Habemus Papam. Potrei ex tempore spacciarmi per Raz Degan tentando di imbastire una pseudo indagine tipo Mistero, tema: sarà “tarocco” o no il presago fulmine che si è abbattuto sul Cupolone, così come ipotizzato dal web? Potrei altresì disquisire sul tasso di bolscevismo del Festival di Sanremo Anno Domini 2013, millantato dai soliti (ig)noti. Potrei invero dipingere foschi scenari concernenti l’asteroide che il 15 febbraio sfiorerà la Terra.
Invece di cul-tura, però, mi garba favellare di cultura, ispirata dall’approfondimento “Emergenza beni culturali” di Terza Pagina, interessantissimo programma televisivo targato Rai. Il nostro territorio è una fonte praticamente inesauribile di opere d’arte, tesori di inestimabile valore storico che spesso ci sfuggono come sabbia tra le dita, facendoci versare lacrime amare sulle loro sorti.
È questo il caso del Parco Archeologico di Sibari, in provincia di Cosenza, la prima colonia fondata dagli Achei sulla costa ionica della Calabria (siamo nel 720 a.C.), descritta dalle fonti storiche come la più importante e potente città della Magna Grecia, che a causa dell’esondazione del fiume Crati avvenuta il 18 gennaio 2013 si è ritrovata coperta di fango e detriti per 5 ettari su 12 complessivi.
Proprio il 12 febbraio, un noto partito politico ha reso nota la sua intenzione di presentare all'UNESCO la candidatura del sito per includerlo nella Lista dei patrimoni dell'umanità (l'Italia è la Nazione che detiene il maggior numero di siti, sono 47: avercene di simili primati!).
Molto facile occuparsene in campagna elettorale, sarebbe stato più opportuno che codesta idea lampeggiasse nelle menti di chi di dovere, sinistra, destra, centro, ben prima del disastro occorso, per esempio già dall’estate scorsa, quando cioè, come possiamo leggere sui giornali, la Soprintendenza regionale per i Beni Archeologici segnalò le condizioni poco sicure degli argini del fiume Crati nel cui alveo oltretutto è stata riscontrata la presenza di agrumeti che impedirebbero il normale deflusso dell’acqua.
Stesso dramma si è verificato a Vulci, in provincia di Viterbo, meraviglioso Parco Naturalistico Archeologico costellato di necropoli talmente ricche da aver restituito all’umanità la maggior quantità di ceramica greca dipinta: a causa dell’esondazione del fiume Fiora avvenuta il 12 novembre 2012 gran parte del sito archeologico è letteralmente scomparsa sott’acqua, con danni talmente ingenti alla viabilità di accesso al Parco e ad alcuni settori dell’area archeologica da rendere necessarie alcune modifiche alla stessa viabilità e agli itinerari di visita in vista della sua riapertura, avvenuta il 21 gennaio.
Altro caso eclatante è quello di Pompei, funestata da continui crolli che hanno messo a repentaglio l’esistenza di uno dei luoghi più straordinari del Pianeta. Per fortuna il 6 febbraio è comparsa sui giornali l’attesa notizia, quella del sospirato via ai lavori nei primi due cantieri che si occuperanno del restauro della Casa dei Dioscuri e del Criptoportico. Il progetto comprende anche gli interventi di messa in sicurezza e contro il rischio idrogeologico e prevede uno stanziamento di 105 milioni di Euro a contributi Ue e fondi statali (anche se non sono mancate le proteste, dato che i lavoratori chiedono trasparenza circa gli appalti e la valorizzazione della professionalità).
Come se non bastassero i cataclismi e l’incuria, il giornalista Fabio Isman con il suo libro del 2009 I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia ci ricorda che il nostro Paese è stato letteralmente depredato dei sui beni artistici fra il 1970 e il 2004, a causa di chi nell'ombra ha sottratto, venduto, ceduto.
Che dire poi delle spoliazioni di cui l’Italia è stata vittima nel corso dei secoli? Vi citerò in proposito quel bel tomo di Napoleone che qui da noi così come in molti altri luoghi ha sgraffignato tutto lo sgraffignabile e anche di più, con buona pace del Louvre, che dopo la sconfitta di Waterloo del 1815 fu alleggerito di parecchie “cosucce” da restituire ai legittimi proprietari ma che nonostante questo ancora oggi “ringrazia” mezzo Globo perché non avendo riconsegnato all’epoca tutto quello che doveva qualche “gingillo” interessante ancora ce l’ha.
In questo scenario desolante è stata ammirevole l’iniziativa promossa dai giovani del FAI (Fondo Ambiente Italiano), che il 7 gennaio 2013 hanno lanciato le Primarie della cultura, conclusesi il 28 gennaio (sono stati raccolti oltre 100.000 voti), iniziativa grazie alla quale i cittadini hanno avuto la possibilità di indicare le proprie preferenze tra 15 tematiche, con lo scopo di selezionarne cinque da sottoporre all’attenzione dei candidati alle elezioni politiche. Queste sono le proposte più votate: 1. “Non uno di meno: quota minima 1 % dei soldi pubblici per la cultura”; 2. “Chi tocca il suolo muore: stop al consumo del paesaggio”; 3. “Io non dissesto: piani certi per la sicurezza del territorio”; 4. “Agri-cultura: più lavoro e benessere a km 0”; 5. “Diritto allo studio, dovere di finanziarlo”.
Trovo alquanto singolare che la cittadinanza si debba mobilitare per fornire qualche idea in proposito a chi già da tempo avrebbe dovuto fare i salti mortali per proteggere l’arte italiana, immenso patrimonio culturale di una bellezza senza eguali, che se gestito con criterio, oltretutto, potrebbe far impennare il turismo risollevando le sorti di tutti noi.
Mi sembra impossibile che non venga spontaneo amare i nostri beni culturali, tanto da non parlarne nemmeno, da lasciarli andare così, tra la piena di un fiume e la più assoluta negligenza. Ma quello che non hanno spazzato via le innumerevoli guerre patite lo deve forse radere al suolo il buio della Ragione? In questi giorni ne sto sentendo di tutti i colori da parte dei candidati dei vari partiti, le arringhe senza costrutto si sprecano: sarebbe proprio ora di udire almeno un discorso, dico, uno!! sensato, credibile e attuabile inerente l’incerto futuro del nostro patrimonio artistico, che con lo 0,19 % del bilancio statale a lui destinato è inverosimilmente relegato a ultima ruota di un carro, o meglio, di un carrozzone, drammaticamente fatiscente: il Bel Paese.