A tavola aiutati che l’UE non ti aiuta
“Ma che bontà, ma che bontà… Ma che cos’è questa robina qua?”, canterebbe Mina. La risposta al suo quesito la conosciamo tutti.
In questi giorni mi ha sgomentato il tam-tam di notizie circa le presunte "sofisticazioni" alimentari concesse dall’UE ai danni dell’ignaro(?) consumatore italiano in particolare ed Europeo in generale.
Coldiretti ha giustamente lanciato l’allarme mediante una serie di notizie in proposito, fruibili sull’omonimo sito, segnalando fra le altre “leccornie” in arrivo nei nostri supermercati la bistecca in provetta, pecora Dolly docet, il concentrato di pomodoro dalla Cina con furore senza etichetta di origine, il miele realizzato con polline “D.O.C.”, da leggersi “Di O.G.M. controllata” e, udite udite, il cioccolato a base di cacao meravigliao nel senso che di cacao all’interno non ce n’è (il dio Quetzalcoatl, che secondo il mito donò la pianta agli aztechi, i primi a trarne la celeberrima bevanda, si starà mangiando il cappello come Rockerduck).
Ciò che in verità mi “perplime”, come direbbe Rokko Smithersons, non è la triste prospettiva in sé che del resto non è una novità (senza contare che con l’UE ho un conto in sospeso da quando ha tentato in tutti i modi di sabotare il nostro parmigiano), bensì la dabbenaggine del cittadino medio che questa ingiustificata reazione di panico mette spietatamente in luce.
Seguire l’etichetta sarebbe un’ottima dimostrazione di bon ton, quantomeno alimentare: da eoni è cosa nota che se i prodotti ne presentano una non è per soddisfare il nostro edonismo, con buona pace del filosofo greco Aristippo. Da altrettanti cicli cosmici è risaputo che spesso le etichette non ce la raccontano giusta (basterebbe guardare una puntata di Report ogni tanto per rendersene conto).
Personalmente quando mi reco al supermercato mi sento come nel film Men in black, certa che da un momento all’altro salti fuori un alieno dal barattolo di cipolline sott’olio, poiché sono conscia della lordura che fa bella mostra di sé sugli scaffali, magari spacciata come prodotto italiano quando non lo è affatto.
Ogni qual volta preparo un dolce, cerco mio malgrado di evitare quelli che presentano la scorza di limone o di arancia nella ricetta, perché più gli agrumi che vedo in giro sono perfetti e lucidi più mi vengono i sudori freddi: Dio solo sa attraverso quali sostanze hanno raggiunto quell’apparente impeccabilità.
Se poi comincio a pensare alla contaminazione delle falde acquifere, allo smog e ai pesticidi che incombono come una scure sulle nostre teste, la mia inquietudine aumenta a dismisura e, non senza sdegno, mi vengono dei dubbi perfino riguardo i meravigliosi frutti che vedo pendere da inconsapevoli rami nei giardini privati.
Da qui alla paranoia il passo è breve: per associazione di idee mi arrovello il cervello sulle mozzarelle blu ed è a questo punto che la mia espressione è identica a quella di Axl Rose nel video Welcome to the jungle mentre si dimena legato come un salame davanti agli schermi televisivi.
Psicosi a parte, questa realtà, badate bene, non è nata dall’oggi al domani: sono decenni che le cose stanno così. La macchina si è messa in moto con clangore e fragore, ma in tanti, troppi hanno fatto finta di niente turandosi gli orecchi e i risultati sono sulla tavola di tutti.
“Come possiamo fare”, vi chiederete voi, come del resto me lo domando io, “Per difenderci?”. L’unica arma a nostra disposizione è il buon senso, che a volte se non ci salva del tutto ci mette perlomeno nella condizione di scegliere il male minore.
Informarsi con qualsiasi mezzo, in primo luogo: un consumatore consapevole è a metà dell’opera. Leggere con attenzione le etichette, in secondo luogo, privilegiando i nostri prodotti e lasciando a marcire lì dove sono quelli ambigui. Che altro? Creare orti, orticelli, nicchie da adibire a un qualsiasi prodotto alimentare, avendone la possibilità: anche una pianticella di basilico sul balcone può fare la differenza. Acquistare dal produttore al consumatore, alla faccia dei supermercati e degli ipermercati che a colpi di prodotti dalle origini oscure e tante, troppe volte nemmeno nostrani affossano l’economia tricolore oltre che demolire la dignità del Bel Paese. Anche in vacanza le nostre scelte possono essere significative, comprando tre barattoli di miele dall’apicoltore per esempio, oppure facendo scorta di formaggio di malga e così via.
Se l’UE dà il via libera alla commercializzazione delle peggiori nefandezze, io, cittadina, non sono obbligata a comprarle. Certo, al ristorante o in pizzeria non posso controllare in prima persona gli ingredienti, ma io sono fiduciosa e mi auguro che soprattutto in questo delicato momento storico i ristoratori si mettano una mano sulla coscienza e comincino ad adoperare, se già non lo facevano, prodotti esclusivamente ITALIANI alla faccia dell’UE.
Ma chi lo vuole, dico io, il similgrana estone o lettone? Resti pure dove sta, perbacco. Se noi abbiamo un clima che ci consente di cogliere il meglio che la natura possa offrirci, perché abbassare la testa fino a rimpinzarci dell’altrui spazzatura? Eh no, lor signori, non ci sto affatto.
Il discorso sembra ed effettivamente è alquanto complicato, d’altra parte il mercato comprende solo un concetto, fin troppo facile da recepire, quello del vile denaro: tutti ci dobbiamo impegnare a non comprare questi alimenti-Frankenstein, nessuno mi può costringere a farlo, perdiana. Ma se non cambiamo repentinamente la nostra forma mentis, se il nostro carrello trabocca quotidianamente di alimenti-zombie è inutile che ci strappiamo i capelli battendoci il petto in segno di lutto, piangendo la prematura scomparsa di una dieta sana: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Saranno lacrime collettive più amare di quel che pensiamo, però.