“Ciclone” Cleopatra?
Da questa mattina le prime pagine dei giornali sono necrologi aggiornati di minuto in minuto: un evento meteorologico di rara e drammatica intensità, definito dai media "ciclone", ha devastato la Sardegna, accanendosi su Gallura, Ogliastra, Oristanese e Medio Campidano, annientando persone e cose.
I morti sarebbero almeno 18, anche se il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli invita alla prudenza circa questo dato, poiché le zone isolate e invase dalle acque sono ancora molte.
Purtroppo è ancora presto anche per il calcolo dei danni, senza contare che proprio in questi giorni tutta l’Italia è ostaggio del maltempo, basti pensare al violento nubifragio che l’11 novembre si è abbattuto su Rimini, che si prepara a chiedere l’intervento della regione Emilia-Romagna dichiarando lo stato di calamità.
Ogni qual volta la nostra Penisola è sferzata da Madre Natura (sempre più spesso, per nostra disgrazia) mi aspetto di leggere nero su bianco che “La situazione, seppur grave, è tenuta sotto controllo: non si registrano danni rilevanti”.
Dirò di più: anche a Ferragosto quando imperversa la canicola attendo con ansia il tiggì nella speranza di ricevere aggiornamenti su operazioni volte a mettere in sicurezza le zone più a rischio del nostro indifeso Bel Paese (indifeso poiché scelleratamente privato di alberi e oppresso dalla cementificazione selvaggia), qualcosa che mi faccia finalmente pensare “Anche quando splende il sole c’è qualcuno che pensa a noi infingardi cittadini”, così da non dover sentire per l’ennesima volta che fa caldo e bisogna tirarsi su mangiando ghiaccioli o che il politico di turno ha fatto o detto una mostruosa corbelleria ma che nega tutto con sussiego.
Invece non sento dire alcunché in proposito.
E così in autunno la gente viene regolarmente inghiottita dalle acque, si aprono voragini, i ponti crollano, la circolazione ferroviaria va subito in tilt.
Proprio a questo stavo pensando, poche ore fa, mentre i miei occhi scorrevano le terribili notizie sulla sciagura in corso, finché non ho notato questa definizione: “ciclone Cleopatra”.
Fino a ieri avevo avuto cura di non informarmi circa l’origine della consuetudine di affibbiare un nome ai cicloni, perché questa usanza mi infastidisce a tal punto da evitare di approfondire la questione.
Avevo ipotizzato che dipendesse dal fatto che, visti gli innumerevoli episodi in tal senso che flagellano gli Stati Uniti d’America, si trattasse di una catalogazione che avesse lo scopo di semplificare la vita di civili e non attribuendo una definizione univoca a ogni singolo evento.
Il mio sconcerto mi ha spinto questa volta a fare un’eccezione, mi sono pertanto documentata e ho scoperto che effettivamente è una tradizione anglo-americana e che questa pratica ha uno scopo pratico ma anche apotropaico: umanizzare la catastrofe aiuterebbe l’uomo a placare la collera della natura.
Per molti secoli si è assegnato il nome del santo cattolico associato al giorno della manifestazione del ciclone, successivamente si sono sviluppati parametri differenti a seconda delle aree colpite; i nomi venivano attribuiti con criteri del tutto arbitrari fino al 1953 (basti citare il meteorologo Clement Lindley Wragge, il quale conferiva loro nomi mitologici ma anche di politici con cui era entrato in conflitto), quando per la prima volta vennero presentate delle liste gestite dalla World Meteorological Organization.
Attualmente per quanto riguarda i cicloni tropicali dell’Atlantico sono utilizzate a rotazione sei liste di nomi in ordine alfabetico. Qualora il fenomeno sia particolarmente violento è depennato dalla lista d'appartenenza e gli viene assegnato un altro nome (come nel caso degli uragani Sandy e Katrina).
Qui da noi ovviamente non esistono regole in tal senso, perché uragani e cicloni non sono affatto frequenti: sarebbe stato un noto sito meteorologico a dare il via a questa mania di "battezzare" cicloni e anticicloni (ammesso e non concesso che il termine “ciclone” sia calzante se riferito all’Italia) attribuendo loro una nomenclatura altisonante, talvolta mitologica.
Se ne sentiva il bisogno?
Assolutamente no.
Ritengo che quello che sta accadendo in Sardegna richieda un’attenzione, un rispetto e un raccoglimento tali da non lasciare spazio alla volontà di sensazionalismo sempre e comunque. Perché per me un nubifragio è un nubifragio. Punto. Basta e avanza così com’è, in tutta la sua cieca furia, con o senza nome da ciclone a stelle e strisce.
Cleopatra lasciamola dov’è, che con l’aspide ha già i suoi problemi. E allora fra Sardegna ed Egitto, inaspettatamente, mi frulla in testa un amaro ritornello tricolore: “Tu vuo’ fa’ l’americano… Ma si nato in Italy”.