Dai fatti della “Diaz” all’assenza del reato di tortura in Italia
Le crude immagini del ventitreenne Carlo Giuliani armato di estintore, della mano del carabiniere di leva Mario Placanica, classe 1980, che impugna la pistola e della pozza di sangue a sigillare il tutto, in Via Tolemaide, hanno sconvolto la società civile così come i vergognosi fatti avvenuti alla scuola "Diaz" e nella Caserma Nino Bixio di Bolzaneto hanno marchiato a fuoco la memoria collettiva italiana e internazionale, gettando un’ombra sinistra sul nostro Paese.
Era il luglio del 2001 e a Genova si stava svolgendo il 27° vertice annuale dei capi di stato e di governo dei paesi industrializzati: situazione finanziaria globale, importanza delle tecnologie informatiche e commercio mondiale, questi i temi principali del summit.
Per comprendere appieno i fatti del 2001 è necessario fermarsi un momento a riflettere sulle fasi principali della storia del G8, tenutosi per la prima volta in Francia, a Rambouillet, nel 1975.
Come si può evincere dallo studio del 2008 a cura di Federico Niglia e Nicoletta Pirozzi, dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), gli argomenti affrontati nei primi vertici sono la cooperazione economico-commerciale e il coordinamento delle politiche valutarie; successivamente entrano a far parte dell’agenda del summit anche tematiche di natura politica, di sicurezza, ambiente, energia, sviluppo e lotta al terrorismo.
Obiettivo primario del forum, oggi come oggi, è quello di far fronte alle problematiche che di volta in volta affliggono la comunità internazionale, anche se sovente si verificano delle difficoltà nell’individuazione delle priorità e nell’effettiva realizzazione delle risoluzioni prese. La pretesa da parte di un forum informale e ristretto, considerato elitario, di fornire soluzioni “preconfezionate” a problematiche di carattere internazionale ha suscitato le proteste di svariati movimenti, primo fra tutti quello no-global, che muove al summit l’accusa di essere null’altro che un club di paesi ricchi che pensa esclusivamente ai propri interessi spacciandoli per priorità globali.
In questo clima di tensione si apriva il G8 del 2001: un treno carico di no-global, partito da Londra e diretto a Ventimiglia, era stato deviato a Modane, località francese dalla quale erano partiti 6 pullman con a bordo 300 manifestanti.
I resoconti dell’epoca parlano inoltre di almeno tre treni colmi di manifestanti e di oltre 40 pullman provenienti da Torino e diretti a Genova.
L’assedio alla “zona rossa” era cominciato ufficialmente il 20 luglio, alle 11:53, in Piazza Paolo da Novi, dove si concentravano per lo più i componenti del Genoa Social Forum (un movimento contro la globalizzazione nato a Genova un anno prima), lavoratori Cobas e ragazzi dei centri sociali: si attendevano, entro le 14:00, circa 7000 persone.
Ma già a partire dalle 11 di quella mattina entravano in azione i black bloc, anarchici insurrezionalisti, o meglio 400 violenti vestiti di nero col volto coperto e armati di spranghe, mazze e molotov, estranei a questi movimenti.
Alle 12:31, proprio in Piazza Paolo da Novi, cominciarono i primi scontri fra dimostranti e polizia, degenerati poi in atti di vandalismo e devastazione, con tanto di vetrine fracassate e automobili date alle fiamme, duramente contestati dalle “Tute Bianche”, noti nel 2001 come “Disobbedienti”.
Gli scontri proseguivano in un crescendo di violenza, culminato nella notizia della morte di un ragazzo, confermata alle 18:01 di quel giorno di follia.
Alle 23 gli elicotteri della polizia sorvolavano Genova, la città era presidiata da un ingente numero di reparti di polizia e carabinieri, mentre la “zona rossa” era circondata da decine di camionette.
Al complesso scolastico denominato “Diaz”, costituito da due edifici posti l’uno di fronte all’altro in via Cesare Battisti, ovvero la scuola “Sandro Pertini” (adibita a luogo di pernottamento dei membri del “Genoa Social Forum”) e la scuola “Giovanni Pascoli” (sede di strutture di primo soccorso, di comunicazioni radiofoniche e giornalistiche e di supporto per organizzatori e partecipanti) non si registravano particolari tensioni.
Mancavano pochi minuti alla mezzanotte quando le forze dell’ordine (non si sa quanti furono di preciso i poliziotti coinvolti nell’operazione, c’è chi dice centinaia) fecero irruzione nella scuola per una perquisizione finalizzata alla ricerca di armi, con l’intento di stanare i black bloc: dopo essere state per lo più colte di sorpresa nel sonno e pestate a sangue, 93 persone furono arrestate (78 delle quali sottoposte a cure mediche) e condotte al centro di detenzione di Bolzaneto, dove si trovavano gli altri manifestanti provenienti dai cortei svoltisi in giornata.
Coloro i quali, italiani e stranieri, si trovavano alla Bolzaneto quella notte furono, secondo la Corte Europea, torturati, vale a dire privati della possibilità di telefonare o vedere un avvocato, marchiati con pennarelli, sottoposti a violenze e umiliazioni, ingiuriati, privati del cibo, stipati in celle che contenevano anche 30 persone: in parole povere furono i bersagli di un’esplosione di violenza bestiale.
I presenti si trovavano in un inferno di pianti, gemiti e sangue.
Nei giorni seguenti si tentò di inquinare i fatti, esibendo false prove (come due molotov) a carico di tutti i presenti nell’edificio, che furono accusati di resistenza aggravata e associazione a delinquere mirata alla devastazione e al saccheggio.
Come si sono conclusi i processi, durati più di dieci anni?
Il procedimento a carico del carabiniere che sparò a Carlo Giuliani venne archiviato.
Il 5 luglio 2012 per l’irruzione alla scuola Diaz vennero condannati con sentenza definitiva al risarcimento delle parti civili, per falso, con la condanna accessoria dell’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, 25 poliziotti (tra cui 5 alti funzionari di polizia). I reati di calunnia e lesioni gravi erano caduti in prescrizione; nessuno è finito in carcere, grazie all’indulto.
Sempre nel 2012 furono condannati 10 manifestanti sorpresi negli scontri di piazza.
Il 14 giugno 2013, per i fatti di Bolzaneto (furono chiamati a rispondere delle violenze compiute poliziotti, carabinieri e medici) la Cassazione, in base alla riconosciuta gravissima sospensione dei principi-cardine dello Stato di diritto, messa in atto per dare sfogo all’impulso criminale, confermò 7 condanne, con 4 assoluzioni e 37 prescritti, prescrizioni dovute alla mancanza del reato di tortura in Italia.
Lo scorso aprile, in seguito al ricorso di Arnaldo Cestaro, manifestante veneto brutalizzato dalle forze dell’ordine che all’epoca dei fatti aveva 62 anni, la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia a risarcire il settantacinquenne con 45.000 Euro, deplorando quanto accaduto a Genova, affermando che lo Stato italiano ha violato l’Articolo 3 della convenzione sui diritti dell’uomo, che recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”; la Corte di Strasburgo, che dovrà esaminare altri due ricorsi presentati per quanto accaduto a Bolzaneto, ha inoltre biasimato il nostro Paese per il fatto che gli autori della “macelleria messicana” sono rimasti impuniti, sollecitandolo a promulgare una legge sulla tortura, reato assente nel nostro ordinamento.
Come possiamo leggere sul sito di Amnesty International Italia: “La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dal nostro Paese nel 1988, prevede che ogni Stato si adoperi per perseguire penalmente quegli atti di tortura delineati all’articolo 1 della Convenzione stessa”.
Senato e Camera discutono la questione da 5 legislature, con un rimpallo continuo: il 5 marzo del 2014 il Senato, con voto quasi unanime, ha approvato un testo unificato sul reato di tortura.
Il 9 aprile 2015 la Camera dei deputati ha approvato con modificazioni la proposta di legge C. 2168 (già approvata dal Senato), che introduce nel codice penale il reato di tortura, rispedendola al Senato.
Tuttavia si è scelto di modificare il testo approvato dalla Camera, rendendo necessario un altro passaggio parlamentare, che rende difficile l’approvazione di una legge prima della fine della legislatura.
Secondo Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia “Si è materializzato lo scenario peggiore […] E ciò è avvenuto allo scopo non di migliorare ma di peggiorare notevolmente il testo in discussione che, così com’è, è incompatibile con la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite che l’Italia, in quanto stato parte, ha l’obbligo giuridico di rispettare. La riproposizione del famigerato emendamento che prevede la “reiterazione” quale condizione di esistenza della tortura è solo una delle modifiche peggiorative introdotte le quali, considerate nel loro complesso, fanno venire meno la fiducia nella reale volontà delle forze politiche presenti in Parlamento di porre fine a questa grave anomalia italiana in tema di diritti umani”.
Cosa dire? Francisco Goya sosteneva che il sonno della ragione genera mostri. Mi auguro un pronto risveglio da questa catalessi, ma non perché ce lo impone la Corte europea, bensì per il fatto che lo esige il buon senso, quella capacità naturale che dovrebbe permetterci di distinguere con una certa sicurezza il logico dall'illogico.