Greenpeace of mind: si vis pacem para… geoglifum!
C’erano una volta i geoglifi di Nazca, i celebri disegni peruviani tracciati tra il III e V secolo d.C. visibili dall’alto, raffiguranti animali stilizzati e figure geometriche; e c’era una volta il senso di sacralità misto a timore reverenziale che solamente i luoghi di culto sapevano ispirare nelle menti che anelavano alla spiritualità, al raccoglimento e all’infinito.
Orbene, stando a quanto si può leggere nei giornali, l’8 dicembre una spedizione composta da ben 20 “ardimentosi” attivisti di Greenpeace avrebbe avuto la per così dire peregrina idea di recarsi nel suddetto delicatissimo, misterioso e venerabile sito archeologico, peraltro dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, per comporre vicino alla figura del colibrì, naturalmente a caratteri cubitali di uno stimolante giallo Euchessina la seguente scritta: “Time for change! The future is renewable” ("è tempo di cambiare! Il futuro è rinnovabile"), con l’intento di scuotere le coscienze dei partecipanti alla “20a Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici-10° Meeting Delle Parti Del Protocollo Di Kyoto”, in programma dal 1° al 12 dicembre a Lima.
Senza dubbio questo gesto ha turbato qualcuno, in primis Luis Jaime Castillo, vice ministro peruviano della Cultura, il quale avrebbe dichiarato che questo atto equivale a uno schiaffo a tutto quello che i peruviani considerano sacro, senza contare che il governo avrebbe già avviato un’azione legale contro gli attivisti coinvolti nella vicenda, i quali sono attualmente trattenuti lì e rischiano fino a 6 anni di carcere.
Il sito sarebbe infatti inaccessibile perfino al presidente e ai ministri senza le necessarie autorizzazioni e precauzioni (come l’obbligo di indossare apposite calzature e seguire un percorso ben delineato per evitare di arrecare qualsivoglia danno), considerata la fragilità delle figure, realizzate rimuovendo i ciottoli superficiali per far emergere le sottostanti e più chiare rocce calcaree.
Greenpeace si è prontamente scusata con il governo peruviano attraverso un comunicato ufficiale, ammettendo la grama figura e assicurando piena cooperazione alle autorità, mentre sulla pagina ufficiale italiana di Facebook è comparso un link che rimanda ad alcune precisazioni sulla vicenda ritenute doverose anche in seguito alle polemiche scoppiate per via del seguente commento apparso sul medesimo social network: “[…] non è stato fatto alcun danno. Il messaggio è stato scritto in lettere di stoffa gettate a terra senza toccare minimamente le Linee di Nazca” (certe foto presenti in rete che confrontano “il prima” e “il dopo” dimostrerebbero il contrario, da qui la diatriba).
Ma io mi domando e dico, chi diamine può aver partorito un’idea così balzana? D’accordo, ho capito che è stata opera di Greenpeace, ho visto anche le presunte facce di chi materialmente avrebbe compiuto l’atto in sé (circolano anche delle ipotesi sulla nazionalità dei partecipanti), ma non riesco a trovare una fonte che mi aiuti a comprendere chiaramente chi ci sia dietro tutto questo.
Per mettere insieme 20 persone e spedirle in Perù ci vogliono tempo, denaro e una minuziosa pianificazione: chi ai “piani alti” ha infine dato il nulla osta a quella che probabilmente già in partenza aveva tutta l’aria di essere una missione per così dire di “sola andata”, un vero e proprio "blitz" mediatico prima che ambientalista, che quasi sicuramente poteva costare anni di prigione agli attori della vicenda? Oppure gli attivisti hanno la facoltà di mettere in atto le incursioni autonomamente avvalendosi del nome dell'organizzazione senza il beneplacito di alcuno? Non si sa.
In ogni caso pare veramente singolare la nonchalance di chi si è imbarcato in questa “impresa” che anche se esaminata con occhio non particolarmente critico poteva sin dall'inizio sembrare azzardata, tanto per usare un eufemismo.
I più diranno che l’unica cosa che conta in simili casi è l’ideale, ma sovente questo concetto per sua natura così romanticamente rocambolesco e puro ha la pessima abitudine di trasformarsi in ideologia, perdendo così ogni traccia di spontaneità e assumendo per assurdo quello spiacevole connotato programmatico per nulla rassicurante, privo di qualsivoglia trascendenza, il cui vessillo è l’antipaticissima e battagliera massima sprezzante del pericolo: “Il fine giustifica i mezzi”.
Tuttavia come affermava l'esilarante e saggio Marcello Marchesi: “Si vis pacem para bellum, si vis bellum para cul*m”… O meglio, in questo caso, para geoglifum…