Il caso Cansiglio e l’assioma di JURASSIC PARK: i rischi insiti nel ripopolamento
L’attuale stile (se così si può definire) di vita dell’uomo è assolutamente incompatibile con la Natura.
Ma questo modus operandi non è mica un’esclusiva della nostra generazione! L’essere umano ha condannato all’estinzione diverse specie animali nel corso dei secoli e da quando, spinto probabilmente più dal tornaconto economico (visto che da sempre la fauna favorisce il turismo) che dal rimorso, si è messo in testa di dedicarsi all’arte del ripopolamento la situazione non è certo migliorata: con una mano dà e con l’altra toglie.
Vuole contemporaneamente preservare la fauna e continuare a costruire e frammentare le aree naturali con il risultato che, se da un lato riesce nell’intento di reintrodurre esemplari ormai estinti, dall’altro condanna a morte quelli che non lo sono ancora.
Esaminiamo la situazione italiana: nel 1970 la cicogna bianca era scomparsa, negli anni 80 era stata la volta dell’airone guardabuoi, mentre negli anni ‘90 l’orso delle Alpi contava dai 3 ai 5 individui e il camoscio appenninico 600 esemplari; a fine 2013 si contavano circa 100 coppie di cicogne, 1000 coppie di aironi, 40 orsi e 2000 camosci e gradualmente queste specie sono diventate protette.
L’istituzione di aree protette e l’introduzione di norme che limitano sempre più l’attività venatoria non hanno tuttavia saputo fermare la decimazione della gallina prataiola, del gambero di fiume e della lince. Sapete perché? Semplice: non si mantengono in vita gli ecosistemi.
La triste parabola dei cervi reintrodotti forzatamente sul Cansiglio ne è la prova.
C’era una volta il cervo del Cansiglio, nobile ungulato che in quella zona, ahilui, scomparve intorno alla metà del 1800. La storia sembrerebbe finita ancor prima di cominciare se non fosse che nel 1966, in località Tramedere, l’allora Azienda di Stato per le Foreste Demaniali realizzò un recinto faunistico di circa 50 ettari nel quale furono introdotti cervi provenienti dal Tarvisiano e daini. Galeotti furono la neve e lo schianto di qualche albero che consentirono la fuga di alcuni cervi i quali, probabilmente, si unirono ad alcuni esemplari cadorini.
Nel 1985 questa specie contava 30 esemplari e non c’erano popolazioni limitrofe che potessero implementarne il popolamento mediante flussi migratori. Ma alla fine degli anni ’80 a causa delle utilizzazioni forestali il recinto fu abbattuto e di conseguenza tutti gli animali si diedero alla macchia. Nel 1997 si potevano contare 29 cervi maschi, nel 2010 i capi erano 2500 e fino al 2013 si parlava addirittura di un numero compreso fra i 3000 e i 3200 esemplari.
È risaputo che quando la densità di popolazione supera la capacità portante dell’ambiente la foresta può andare incontro a pesantissimi danni ed è proprio quello che è accaduto. La colpa non si può certo attribuire al cervo, autoctono ma scomparso e reintrodotto artificialmente su un territorio diverso rispetto a quello dell’800; il problema è stato causato dall’essere umano che ha modificato l’ecosistema per renderlo a misura d’uomo, sia negli aspetti vegetazionali che in quelli faunistici.
La mancanza di predatori naturali (perché se durante una passeggiata è senz’altro commovente imbattersi in un cervo che bramisce certamente è meno romantico fuggire a gambe levate mentre i lupi t’inseguono onde per cui nel corso dei secoli codesti ultimi sono stati fatti fuori in ogni dove), l’impoverimento delle specie vegetali (come la pecceta pura e la faggeta pura) che riduce la disponibilità alimentare e il disturbo provocato dalle attività quotidiane dell’uomo che spinge i cervi a nascondersi hanno favorito l’insorgenza di gravi problematiche, fra cui un impatto negativo sulle biocenosi forestali oltreché sul pascolo e sugli erbai.
Alla luce di tali elementi è nato “Il Piano di controllo del cervo nel comprensorio del Cansiglio” che prevedeva la riduzione numerica della popolazione fino a 1400 capi nell’arco di tempo compreso fra il 2011-2013. Nel settembre del 2013 il biologo faunista Francesco Mezzavilla, membro dell’Associazione Faunisti Veneti, ha dichiarato che il Cansiglio si stava trasformando in un lager recintato ed elettrificato, denunciando la moria dei cervi che secondo lui non erano affatto 3000, ma molti di meno.
Mezzavilla si espresse così: “È vero che i cervi possono causare danni all’agricoltura, ma allo stesso tempo, cosa possono mangiare? L’80-90% della loro alimentazione viene dal prato. Essi infatti di giorno si rifugiano nei boschi e nottetempo escono a brucare: è nell’ordine delle cose”.
Gli ungulati possono spostarsi anche di decine di chilometri per allontanarsi dai terreni difesi con la corrente e procacciarsi il cibo, ma il cervo, si sa, porta turismo perché sono sempre più numerosi i sedicenti amanti delle natura che si recano sul Cansiglio per incontrarli e fotografarli.
Gli anni sono trascorsi e dell’argomento non si è più parlato ma è bastato un colpo di coda dell’inverno ed è caduto il palco, non solamente in senso metaforico, perché a chinare il capo coronato dal palco sono stati proprio i cervi, intrappolati in un recinto a causa della neve e del ghiaccio e impossibilitati a procacciarsi il cibo.
Naturalmente se n’è fatto un caso mediatico. C’è chi grida: “Le femmine gravide stanno morendo!” mentre un operatore forestale risponde: “Nessuna meraviglia, l’inverno dalle temperature poco rigide ha trattenuto le neomamme che purtroppo sono state sorprese da queste neve”, chi urla: “Gli ungulati sono imprigionati nel recinto e non riescono a uscire!” mentre c’è chi controbatte: “Non è colpa dei recinti degli allevatori perché mezzo metro di neve non consente ai cervi di saltare e trovare una via d’uscita”.
Fatto sta che Michele Bastanzetti, un escursionista, ha documentato l'agonia di una cerva e il fatto che almeno una trentina di cervi rischiasse di perire a causa della fame (come probabilmente accade da decenni ma in silenzio, visto che non c’era alcuna macchina fotografica o filmato a documentare la situazione. E anche se ci fossero stati, tutti, col tempo, se ne sarebbero bellamente infischiati perché la notizia dura il tempo di voltare pagina nonostante i danni ambientali restino).
A mio parere tutto questo non sarebbe accaduto se per una volta chi di dovere, facendo funzionare il cervello e resistendo al richiamo del business, si fosse ben guardato dall’incoraggiare il reinserimento sul Cansiglio di una specie che, lo ribadisco, è scomparsa a metà dell’800 e che ai giorni nostri è incompatibile con il territorio e con le esigenze degli agricoltori e degli allevatori.
Ma l’uomo ha da sempre un debole per i safari e per i guadagni facili perciò se lo zoo si può misurare in ettari e le fotografie degli animali vengono bene, state pur certi che niente lo fermerà.
Aspettate un secondo! Animali scomparsi ricollocati e incastrati sul territorio come i mattoncini di Tetris… Un gigantesco parco del quale improvvisamente tutti perdono il controllo… Si potrebbe davvero pensare alla trama di Jurassic Park se non fosse che questa è la drammatica realtà.