Jodie Foster, (Coming) In & Out
Forse qualcuno ricorderà In & Out, film commedia senza pretese del 1997 in cui Kevin Kline alias Howard Brackett, è un tranquillo professore di letteratura che si vede tirare in ballo da un suo ex studente diventato famoso in occasione della cerimonia di consegna degli Oscar: gli dedica il premio facendo outing, dichiarandone cioè l’omosessualità ai quattro venti, scatenando un pandemonio nella sua placida esistenza.
E qui apro già una parentesi: fare outing significa rivelare un’informazione su qualcuno senza il suo consenso, pratica sovente utilizzata a mo’ di arma per distruggere socialmente o politicamente un individuo (emblematico il caso di Oscar Wilde, accusato dal Marchese di Queensberry e conseguentemente processato per sodomia) mentre coming out è un’espressione già in uso all’inizio del XX secolo e sdoganata negli anni ’50 anche in ambito accademico grazie alla psicologa Evelyn Hooker, che indica l’atto di dichiarare in prima persona il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.
Ascoltando il discorso del 13 gennaio di Jodie Foster alla settantesima edizione del Premio Golden Globe mi è appunto tornata alla memoria questa pellicola, non perché le sue parole fossero in qualche modo riconducibili a quelle adoperate da Matt Dillon/Cameron Drake nel suo sgangherato sproloquio di ringraziamento, ma in quanto la reazione dell’opinione pubblica è stata scomposta e grottesca come quella descritta da Frank Oz nel suo film.
Da anni i mass media stavano col fiato sul collo della Foster, cercando di estrapolare informazioni dettagliate sulla sua vita privata, indagando sulla natura del suo rapporto con Cindy Bernard e sulla paternità dei suoi figli. L’evidenza non era sufficiente, i giornali bramavano una vera e propria confessione.
Ma confessione de che, poi, mi domando?! Ma dove sta scritto che al mondo intero debbano importare i fatti personali di un personaggio pubblico e che quest’ultimo sia costretto a risciacquare i panni in Arno, non col manzoniano intento di promuovere un canone linguistico, bensì proprio nel senso di soddisfare la curiosità da lavandaia (con tutto il rispetto per le belle lavanderine) delle armate del gossip? Che nel XXI secolo ancora si sconvolgono, o fanno finta di sconvolgersi, se un uomo ha una relazione con un uomo o se una donna sceglie come compagna un’altra donna?
Cito in proposito il caso de I segreti di Brokeback Mountain, il cui passaggio televisivo fu censurato nel 2008. Quanta ipocrisia in tutto questo! Dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina la televisione trasmette programmi beceri, volgari e violenti, senza alcuna velleità artistica, sparatorie e spremute di sangue a colazione, interiora a pranzo, autopsie a merenda e per cena posteriori e "davanzali" a farla da padroni spesso in un contesto di uomini in giacca e cravatta: nessuno fa una piega.
Ma ecco che lo spettatore medio, il quale spesso ne ha viste di cotte e di crude grazie a un palinsesto che pare messo in piedi dal cugino sfigato del Marchese de Sade, improvvisamente va tutelato e un non ben identificato Catone il Censore come un Deus ex machina zac, taglia l’innocua scena di un film: la morale è finalmente salva, perbacco… *ironia*!
Personalmente ho sempre apprezzato le doti recitative della Foster, adoro film come Contact o Il silenzio degli innocenti, l’ho ammirata in Taxi Driver per la bravura con cui si è calata nei complicatissimi panni di Iris Steensma e via discorrendo. Da spettatrice di innumerevoli pellicole, da grande estimatrice di determinati attori, primo fra tutti Jack Nicholson, ho sempre valutato esclusivamente le interpretazioni, la mimica e l’espressività di un performer.
Da un attore non voglio il resoconto scandalistico di vita, morte e miracoli che lo riguardano, la sua funzione deve essere quella di rendere credibile la storia interpretata, di rendere memorabile una scena. Pertanto non condivido l'opinione di alcuni, indignati per quello che a loro dire è un coming out tardivo, un’occasione sprecata da parte di una star che poteva rappresentare un modello già da decenni per chi non osa dichiararsi.
Ma chi ha stabilito che un’attrice o un uomo/donna di spettacolo, debbano o vogliano costituire un modello, o fornire le linee guida per un modus vivendi? In tal senso non può essere d’esempio anche il fruttivendolo sotto casa o l’impiegata che lavora dietro l’angolo, magari meno glamour ma con una dignità grossa così? Ma è davvero necessario avere un portabandiera, un portavoce celebre che infonda coraggio? Funziona così bene la logica del “L’ha fatto la mia beniamina cinematografica, posso farlo anch’io”?.
Questo ragionamento fa acqua da tutte le parti, secondo me. Quando i riflettori si spengono e le statuette luccicanti vengono collocate sulla mensola più in vista del salotto, ognuno deve affrontare la propria quotidianità, Jodie Foster compresa. Il punto non è se lei si sia dichiarata troppo tardi o meno, mi soffermerei piuttosto sulla reazione ancora una volta morbosa ed eccessiva dei mezzi d’informazione.
Che appena fagocitata la notizia, o meglio, la non-notizia (il suo discorso è stato infatti di una disarmante naturalezza, privo di ogni sensazionalismo) si sono affrettati a indagare sulla presunta collaborazione di Mel Gibson per quanto riguarda la procreazione dei figli di Jodie: veramente prevedibile e triviale l’epilogo di questa "caccia alle streghe" travestita da diritto di cronaca. A questo punto e in tema di reazioni banali, nei panni della Foster, mi farei un bel balletto in solitaria e alla faccia di tutti, come il prof. di In & Out che si ribella alle casalinghe lezioni di mascolinità in audio cassetta autoimposte… “I will survive… Hey hey”!