La Befana vien di notte… Con la scopa “rattoppata”
La fanciullina che c’è in me, Pascoli approverebbe di certo, scalpita per l’avvicinarsi della festività che prediligo fra tutte: l’Epifania. Solo il pronunciare questa parola è significativo del fatto che anche durante la nostra festaiola quotidianità parliamo greco antico senza neppure rendercene conto (portate pazienza per l’ennesimo “siparietto” etimologico, ma mi garba ricordarvi l’origine delle parole, è più forte di me): epifàneia, ai tempi del paganesimo ellenico, indicava la manifestazione della divinità attraverso un segno, una visione.
Per gli antichi i fenomeni naturali erano spesso espressione della volontà divina, un lampo o il volo degli uccelli racchiudevano reconditi significati che solo un sacerdote, custode di un antico sapere, era in grado di cogliere e decodificare con destrezza. Se ci pensiamo bene quando valutiamo la direzione del fumo e delle faville per carpire informazioni sul destino dell’anno appena iniziato, ci improvvisiamo aruspici né più né meno degli indovini della Roma Antica, tanto da fare un baffo anche al druido Panoramix o a Frate Indovino.
Da brava strega sono sempre stata affascinata soprattutto dalla figura dell’arzilla vecchina dispensatrice di dolciumi e balocchi, munita di scopa e improbabili gonnelloni, anche quando da bambina all’ammirazione sconfinata si contrapponeva il timore reverenziale dell’incontro vis-à-vis al catartico Panevin: superata l’iniziale e rituale diffidenza cagionata dal suo viso rugoso e dal fatto che dalla mia prospettiva la percepivo massiccia e gigantesca come Hulk Hogan conquistavo l’agognata calzetta, che rosseggiava fra le mie mani e al contempo racchiudeva in sé la malìa del chiaroscuro, creazione immateriale “sprigionatasi” dal falò che tutto colora di luci e ombre.
Tutt’altro “sapore” rispetto alla facilità di alzarsi e scoprire i doni in casa la mattina successiva, poiché il fatto di dover “affrontare” la Befana con un fuoco a fare da sfondo conferiva alla scena quel non so che di epico e al contempo ferino: un’impresa alla Braveheart, per intenderci.
Uuuuuh, l’Epifania e la sua simbologia! Il profumo del vin brulé che si confonde con quello della cioccolata calda, la pinza, il fuoco purificatore che si staglia nell’oscurità, i Re Magi guidati dalla Stella Cometa. E soprattutto lei, la granitica Befana. Abbiamo mai riflettuto sul fatto che stiamo parlando di una signora autonoma e indipendente, una donna gagliarda, sempre molto gentile e cortese? Sottolineo ancora per chi non avesse afferrato l’antifona: trattasi di una DONNA.
Scommetto che si sarà innervosita un tantinello financo lei, che solitamente è più gioviale di tutti gli gnomi Loacker messi insieme, incappando, durante un volo di ricognizione, in un certo volantino affisso sul portone della chiesa (e quasi subito rimosso) a San Terenzo, frazione del Comune di Lerici (La Spezia), proprio nel periodo delle festività Natalizie.
Ecco l’incipit: “Le donne e il femminicidio: facciano sana autocritica. Quante volte provocano?”. Più avanti si legge nientemeno che: “Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti […]”. E, dulcis in fundo: “Così le donne diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano” (sic).
Le si sarà scheggiata la ramazza di saggina leggendo cotante parole, come minimo. Lei è una signora che veste e si comporta all’antica, non è il tipo che provoca, ma di sicuro si indigna in casi come questo, dimenando il sottanone, santi numi. Cosa significa provocare, di grazia? E soprattutto quante volte gli uomini provocano le donne? E quando un uomo provoca un altro uomo, magari solo perché ne suscita l'invidia? Nella Bibbia c’è scritto forse che Abele sia intento a fare dell’autocritica seduto sulla soffice nuvola vagante per l’aere in cui dimora dopo essere stato ammazzato dal fratello?
Ho letto inoltre che un assessore di Preganziol avrebbe dichiarato proprio in questi giorni, attraverso Facebook, di stare dalla parte di don Corsi in questo clima di accanimento mediatico ai suoi danni, culminato con un’irruzione di protesta in chiesa; non condivide tutte le opinioni esplicitate nel volantino, ma gli dà ragione quando afferma, per esempio, che si debba analizzare ogni singolo episodio, senza generalizzare, per evitare l’odio indiscriminato nei confronti dei mariti e degli uomini.
Dal mio punto di vista, quando si parla di violenza, di omicidio o femminicidio, insomma, di assassinio, sono ben convinta che non ci sia proprio alcunché da analizzare. Perché queste raccapriccianti e disumane espressioni di odio mascolino non hanno nulla a che vedere con i mariti e i fidanzati premurosi e innamorati, con i padri e i fratelli affettuosi, non c’è il minimo rischio di confondere la bestialità di un individuo abietto con le peculiarità di un genere.
Minigonna=te la sei cercata? Scollatura idem? A chi sostiene tesi del genere rispondo “Studia la storia”: mi risulta che anche quando le donne, una manciata di decenni fa, circolavano bardate come Crociati subivano ugualmente immondi soprusi, magari fra le mura domestiche. Per taluni se la cercavano anche allora, scommetto: solo per il fatto di esistere ed essere donne, magari.
Non ci sono “se” e non ci sono “ma”: non si può angariare o sottrarre il soffio vitale a un essere vivente ex abrupto, sia esso uomo, donna o cane sostenendo che se l’è voluta. E a chi lo pensa, dico solo “Nun te reggae più”, alla Rino Gaetano.
Temo che in questi giorni alla povera Befana, dopo tutto quello che ha letto in giro, si sia sfaldata più volte la preziosa e fidata scopa. Tuttavia, sono certa che con estrema perizia e pazienza l’abbia rabberciata ancora e ancora, quindi certamente fra il 5 e il 6 gennaio ci delizierà con il suo volo notturno.
Ma chère Befana, fammi una cortesia: quest’anno cerca di portare una calza più grande del solito e straripante di dolciumi e leccornie a tutte le persone assennate del mondo, soprattutto a quelle che hanno letto il famoso volantino e sono rimaste di sale. Invece ai misogini e ai misantropi che infestano il nostro pianeta portane una veramente, ma VE-RA-MEN-TE gigantesca, nella quale vi sia solo una cosa di dolce: l’Euchessina.