Ogni scarrafone è bello a mamma soja… ?
Anche quest’anno Halloween, balzellon balzelloni, avanza spedito e il piatto tenebroso è già bello che servito: attraverso le vetrine delle pasticcerie e nei supermercati possiamo ammirare zucche di cioccolato squisitamente malevole nei loro luccicanti incarti, ragni di liquirizia deliziosamente disgustosi e, cosa più spaventosa di tutte, i prezzi dei suddetti articoli.
Ma d’ora in poi secondo le maggiori testate giornalistiche non dovremo accontentarci di degustare i bacarozzi di zucchero, gnornò! A quanto pare a breve sollazzeremo le nostre papille gustative (anche se altrettanto non potremo dire delle nostre "pupille gustative” giacché è risaputo che anche l’occhio vuole la sua parte, che si mangia prima con gli occhi e che non esistono più le mezze stagioni) assaporando gli scarrafoni veri: il parlamento di Strasburgo ha approvato con 359 sì, 202 no e 127 astenuti l’accordo per semplificare le procedure di autorizzazione del “novel food” (e mai aggettivo utilizzato fu più calzante dato che codesta notizia sembra veramente uscita da un romanzo, Dracula di Bram Stoker per l’esattezza, in cui Renfield si abbuffa di invertebrati dinanzi a uno sconcertato dottor Seward), il che in soldoni si traduce nella possibilità di vedere sulle nostre tavole insetti, vermi, larve, scorpioni nonché nanomateriali, cibi costruiti in laboratorio, alimenti provenienti da animali clonati e nuovi coloranti.
Per chi non ne fosse al corrente il “novel food” consiste in nuovi alimenti o in nuovi ingredienti alimentari, disciplinati dalla legislazione alimentare comunitaria con il Regolamento (CE) 258/97, per i quali non è dimostrabile un consumo “significativo” al 15 maggio 1997 all’interno dell’Unione Europea.
La mia prima reazione di fronte a questa sconcertante nuova, che mi ha fatto sobbalzare più della frescaccia del Millennium Bug, è stata di rammarico: ho provato rincrescimento per il fatto che il Parlamento si trovasse a Strasburgo e non a Salisburgo, celebre per le sue Mozartkugeln e del tutto estranea alla tarantola al vapore.
Analizzando bene la notizia, però, mi sono resa conto che anche in questo caso c’entrano le "balle" nel senso che ho intravisto in tutto ciò del sensazionalismo prête-à-porter archiviabile nella mia personalissima sezione mentale alla voce “vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso” poiché A) occorre il via libera dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare), che dovrà valutare caso per caso che il cibo preso in esame non abbia ripercussioni sulla salute umana e B) è necessaria l’approvazione del testo anche da parte dei Governi.
C’è da aggiungere però che i mass media proprio in questi giorni hanno fatto circolare le immagini della prima degustazione a base di grilli, cavallette e coleotteri all’Expo di Milano, descritti come cibo del futuro in virtù del loro apporto proteico (in tal caso sarà mia premura accaparrarmi una DeLorean e tentare il Ritorno al Far West come il buon Doc, chissà, magari con un pizzico di fortuna potrei imbattermi in Nessuno e nella sua celeberrima, gustosissima e iperproteica fagiolata) e le news dell’International Agency for Research on Cancer dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), che sta investigando sulla correlazione tra cancro e caffè e che ha già inserito le carni lavorate nel gruppo 1 delle sostanze cancerogene (sarebbero collegate all'insorgere del tumore colorettale e allo stomaco), insieme al fumo.
Tutto ciò ha generato nei fruitori dei principali mezzi di comunicazione una sorta di isteria dagli interessanti risvolti antropologici: da una parte vi sono i puristi dell’insaccato, che invocano una coraggiosa dipartita brandendo indomiti i panini con la sopressa, dall’altra i fanatici dell’insetto, i quali a dispetto di Achille piè veloce che scelse una vita breve ma gloriosa, anelano a una lunga esistenza fatta di happy hour a base di spritz e bacarozzi.
Come al solito tra i due litiganti il terzo gode.
Da uno studio del ricercatore Luca Deiana presentato sabato 11 luglio all’Expo di Milano, condotto nell’ambito del progetto AKeA, acronimo dell’affermazione “A Kent’annos” diffusa in tutta la Sardegna che augura una lunga vita, oltre cent’anni, è emerso che il formaggio è il segreto della longevità: negli ultimi vent’anni il ricercatore ha analizzato le schede alimentari e le abitudini esistenziali di migliaia di sardi che hanno superato il secolo di vita i quali si nutrono regolarmente di un mix di pecorini prodotti nell’isola, sia a pranzo che a cena.
Il suo lavoro, elogiato anche dal rettore in carica dell’Università di Sassari, Massimo Carpinelli, ha permesso di creare un archivio comprendente più di 3300 centenari, tra deceduti e viventi e di oltre 22000 persone di età compresa tra i 90 e i 99 anni (da sottolineare anche la presenza di 6 supercentenari ovvero di persone che hanno superato i 110 anni di vita); l’età dei centenari è stata validata confrontando le informazioni di almeno due fonti: i registri conservati negli uffici anagrafe dei comuni e i registri battesimali conservati presso le parrocchie o gli archivi diocesani.
Il progetto AKeA è basato sulla metodologia della certificazione: si studiano soltanto gli individui in possesso di documentazione ufficiale e le persone in vita che sottoscrivono il consenso informato e accettano la visita a domicilio dei ricercatori dell’Università di Sassari e lo studio viene effettuato da un team di ricerca costituito da demografi, medici e biologi ognuno con un compito fisso.
Da questa ricerca emerge che la longevità è il risultato di interazioni particolarmente favorevoli fra background genetico, ambiente e stile di vita.
Vuoi vedere che l’elisir di lunga vita è da ricercare nel passato e non nel futuro? Nel dubbio mi preparo un panino al formaggio rigorosamente italiano.