Tampons are a girl’s best friend
Nel 1953 una spumeggiante Marilyn Monroe di rosa vestita ci teneva a far sapere al mondo intero che i diamanti, “gingilli” costosi per antonomasia, erano i migliori amici delle donne.
Di questi tempi, però, i brillocchi devono competere con un antagonista di tutto rispetto. Si tratta forse del titanico Cuore dell’Oceano? Della celeberrima Numero Uno di Zio Paperone? Del fantascientifico Tesseract? Niente di tutto ciò! A quanto pare l’arcinemico del Pink Panther è l’assorbente: nel Regno Unito, nel caso sia interno, è tassato con un’aliquota del 5% (nel 1973, anno di introduzione della tassa, l'aliquota era del 17.5%), udite udite, proprio come un bene di lusso, tanto che circa un anno fa è partita una petizione online (così come in Australia, dove l'aliquota è pari al 10%) poiché la tampon tax è accusata di inibire l'utilizzo di prodotti indispensabili dal punto di vista sanitario e di essere un balzello smaccatamente sessista.
Pare che nella patria della sterlina perfino le salviette umidificate siano tax-free, mentre in Australia lo sono i cerotti per non fumatori.
Qualcuno, probabilmente di sesso maschile, pontificherà con irritante sicumera: “Donna, se vuoi risparmiare, armati del buon vecchio assorbente esterno, vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
Ebbene, io lo invito caldamente a recarsi al mare con il mitologico slippazzo balneare anni ‘70, articolo certamente più vintage di un vinile dei Bee Gees, foderato di un altro classico senza tempo, l’assorbente con le ali (e che queste ultime siano bene in vista, mi raccomando!), per vedere di nascosto l’effetto che fa.
In Italia l’IVA sugli articoli per l’igiene personale, prodotti sanitari femminili inclusi, è pari al 22%, non al 4% (come pane o pasta) o al 10% (carne, pesce, ma anche intrattenimento, circo incluso) tanto che anche nel nostro Paese è scattata la protesta finalizzata all'abbassamento dell'IVA sugli assorbenti, con relativa lettera apparsa 5 giorni fa sul sito change.org indirizzata a Pier Carlo Padoan, Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Non è facile dirimere la questione: per cambiare lo statu(s) quo occorre l’assenso di tutti e 28 gli Stati membri dell’UE.
Dunque, soffermiamoci un momentino sul termine “Lusso”: “Sfoggio di ricchezza, di sfarzo, di magnificenza”. Ora, visto e considerato che sugli scaffali dei supermercati non mi è ancora capitato di vedere Tampax placcati oro 18 carati e che perfino la birra ha l’IVA al 10%, la domanda sorge spontanea: vi siete forse bevuti il cervello?
Ricapitoliamo: articoli che senza un particolare sforzo di fantasia si possono considerare indispensabili (come gli assorbenti, coppetta mestruale compresa, o la carta igienica) sono considerati beni di lusso, ovvero superflui: apparentemente la cosa è priva di senso.
Provo a darmi una spiegazione: c’entra forse la difficoltà di smaltire i sopracitati prodotti, magari si tratta di una brillante strategia di tipo ambientalista volta a incoraggiare i cittadini a utilizzare metodi eco-sostenibili per far fronte alle “emergenze” fisiologiche più pressanti (anche se ritengo poco plausibile un ritorno al bendaggio in stile mummia per le signore e reputo altrettanto poco probabile l’impiego della foglia alla Robinson Crusoe per gli uomini)?
Più semplicemente mi torna alla memoria il discorso della “tassa rosa”: uno studio nato in Francia dimostra che la differenza di sesso, a parità di articolo acquistato, penalizza le donne: shampoo, deodorante e rasoi, ma anche un paio di jeans, se specificamente destinati alle donne (il che nella maggiorparte dei casi si riduce semplicemente a una confezione vezzosa o semplicemente fucsia), arrivano a costare 4 Euro in più: le donne sarebbero quindi vittime di un vero e proprio marketing di genere, nonostante i loro stipendi siano mediamente più bassi rispetto a quelli percepiti dagli uomini.
I più, in ogni caso, non si pongono affatto il problema dell’effettivo disagio, anche economico, sovente patito da una donna che fa mensilmente i conti col flusso mestruale.
Gli assorbenti non hanno sempre e comunque un prezzo politico: i più mirabolanti ritrovati in questo campo sfiorano o sforano tranquillamente i 4 Euro e “quei giorni lì” rischiano di trasformarsi in un salasso sotto tutti i punti di vista.
Già, “quei giorni lì”: sarebbe più probabile sentire gridare il nome di Voldemort col megafono sul più elevato pinnacolo di Hogwarts che cogliere anche in un sussurro la parola “mestruazioni” nel più buio degli androni.
In effetti le hanno inventate tutte pur di non utilizzare un termine per secoli considerato “scomodo”, nella Top 3 delle più infelici metafore dal sapore decisamente rétro ma non ancora del tutto scomparse ricordiamo con un certo sarcastico sgomento lo scanzonato evergreen “diventare signorina”, seguito a ruota dal granitico e austero “avere le regole”, per concludere con il titolato e modaiolo “è arrivato il marchese” (pare infatti che costui, un tempo, solesse vestirsi di rosso per distinguersi dagli altri nobili, da qui l’altisonante e bizzarro accostamento).
L’unica a farsene un baffo era l’ardita paracadutista armata di assorbente nientepopodimenoche ripiegabile (a quei tempi una vera e propria chicca), che si fiondava giù dall’aereo con l’impeto caratteristico degli anni ’80. Ma si sa, un paracadute non fa primavera…