Treviso e la raccolta (in)differenziata
Camminare a Treviso (fino a qualche tempo fa pregevole cittadina in linea di massima linda e pinta) nell’era della raccolta (in)differenziata è diventata un’esperienza da Incontri ravvicinati del terzo tipo: cosa diamine ti possa capitare di vedere dietro l’angolo, è un mistero; siamo circondati da un fiorire sfiorito di bidoni e bidoncini a destra e a sinistra, sotto e sopra, a dire il vero piuttosto sottosopra nella stragrande maggioranza dei casi.
Mai avrei ipotizzato di dovermi confrontare con una tale trascuratezza nel XXI secolo, quello dei ruggenti anni “smart”.
Quando mesi or sono ho letto che la raccolta differenziata sarebbe diventata obbligatoria anche per gli abitanti di Treviso città (l’introduzione del cosiddetto "porta a porta" avrebbe dovuto, secondo le stime, far crescere gli attuali livelli di differenziazione del rifiuto dal 52% fino al 73,5% abbassando i costi dello smaltimento, il tutto nel giro di un anno), ho seduta stante proiettato il pensiero in una fantomatica e utopica realtà degna di Tommaso Campanella: una Città dell’Ecologia si stagliava maestosa davanti ai miei occhi. Reputavo assurdo che la raccolta fosse attiva a macchia di leopardo e credevo che questa risoluzione avrebbe sancito l’avvento di una disciplina ecologica amata e condivisa, capace di indurre alla ragione anche i più sudicioni fra i reazionari.
Poteva essere l’occasione per riflettere sui prodotti che acquistiamo, spesso imballati senza criterio (ho capito, signori industriali, che non volete farvi taccheggiare la merce, ma possibile che per aprire la confezione di una penna occorrano delle cesoie degne di Edward mani di forbice?).
Nella mia ingenuità credevo che i nuovi cassonetti sarebbero stati simili a quelli presenti a Campitello di Fassa, in provincia di Trento, denominati “Pulsar Nature”, che vanno a costituire delle isole ecologiche composte da 4/5 contenitori per volta e che si aprono con l’e-Key, un portachiavi/cerchietto blu che si passa sull’apposito lettore e il gioco è fatto: tanto per capirci i “Pulsar Nature” sono rotondi (un filo più grandi dei cassonetti del secco presenti fino a qualche tempo fa sul nostro territorio), nell'insieme molto ordinati.
Non potete immaginare la mia perplessità quando ho realizzato che Contarina avrebbe consegnato agli utenti una moltitudine di bidoni muniti di microchip, fra i quali spicca per originalità quello dell’umido, minuscolo, inserito nel contenitore del secco a effetto sorpresa sul modello ovetto Kinder.
Ma i colpi di genio non finiscono qui: il bidone del secco è in versione integrale o pocket. Considerando che lo smaltimento del secco si paga in base al numero degli svuotamenti, non è mica facile decidere quale accaparrarsi e lo è ancor meno se provi a consultare il “Regolamento Consortile per l’applicazione della Tariffa corrispettiva per la gestione dei rifiuti urbani”: una "snella" e "agile" guida di 39 pagine che in confronto Alla ricerca del tempo perduto di Proust con le sue 3850 pagine è un tascabile Mondadori.
Nell'insieme un bel bidone, soprattutto in senso lato, non c’è che dire.
Non capivo come avrebbero fatto coloro i quali abitano in un condominio, magari senza terrazzo, a custodire questa "bidonaglia" assortita, stentavo a comprendere come avrebbero reagito gli anziani che vivono soli, costretti a trasportare su e giù questo peso, mi domandavo come sarebbe stato possibile evitare che il primo venuto buttasse i propri rifiuti nel bidone di un altro.
Va beh, pensavo fra me e me, almeno saranno dei contenitori carini a vedersi. Le mie speranze sono state ugualmente disattese: francamente questi bidoni non sono un granché e nell’epoca del design a tutti i costi non si distinguono certo per la loro finezza o discrezione: questa mia convinzione si rinforza allorché passeggiando sotto un antico portico affrescato di squisita fattura mi vedo circondata da questa selva oscura di portapattume che traboccano sfacciatamente ciarpame impipandosene degli antichi romani e dei cavalieri medievali che con fierezza hanno innalzato a sommi livelli la perizia artistica della ridente cittadina veneta.
Certo, anche questi nobili personaggi ai loro tempi combatterono a ranghi serrati con la spazzatura ottenendo risultati assai incerti su questo fronte, ma credevo (sbagliando di grosso) che secoli di evoluzione civile avrebbero aiutato i cosiddetti "moderni" a destreggiarsi meglio nel medesimo compito.
Poco male l’estetica se a pagare lo scotto non è la praticità, direte voi. A dirla tutta anche da questo punto di vista siamo messi maluccio: sarebbe decisamente meno scomodo e più poetico possedere bidoni a mo’ di brocca da trasportare adagiati sul capo come facevano i nostri avi all’inizio del secolo scorso invece di ritrovarci fra i piedi queste ingombranti scatole di plastica munite di manici, rotelle e chiavi a brugola (quando ho sentito dire che i bidoni avrebbero avuto una chiave d’apertura tutto potevo immaginare tranne la succitata brugola in stile Banda Bassotti che mi sono ritrovata incredula per le mani).
Dove nulla possono il sentimento del bello e la funzionalità dovrebbe almeno subentrare il raziocinio del privato cittadino. E invece no! Contenitori traboccanti, chiusi male o per niente serrati (ho notato che questo deplorevole trend è diffusissimo per quanto riguarda lo smaltimento della carta: pare che quasi nessuno a Treviso si prenda la briga di piegare il cartone prima di buttarlo), capovolti, stravolti e sconvolti invadono lo sguardo di chi se ne va per via.
Se questo scempio visivo sconvolge me che a Treviso ci sono nata, non oso immaginare cosa possa pensare un turista minimamente interessato alle questioni del paesaggio e dell’ambiente.
Questa incuria, inoltre, può esacerbare il pessimo comportamento del villeggiante già di per sé incline alla maleducazione, perché non ci dimentichiamo che il vacanziere tanto italiano quanto straniero spesso inappuntabile custode della pulizia nella propria terra natia, altrove si scorda le buone maniere e forte di un certo lassismo da parte della regione o del Paese ospitante getta la spazzatura ovunque tranne che negli appositi contenitori: se dipendesse da me gentiluomini e gentildonne colti in flagrante a compiere siffatti sprezzanti gesti dovrebbero pagare multe più salate del Mar Morto, scudisciate pecuniarie talmente vigorose da prosciugare il portafoglio del villano di turno risollevando al contempo in un battibaleno la sciagurata sorte della nostra economia.
Ma d’altro canto, se i residenti se ne infischiano dell’uso corretto dei contenitori (a volte ho la netta sensazione che i detrattori di Contarina lo facciano a bella posta, che buttare l’mmondizia senza premurarsi di chiudere i bidoni sia una sorta di protesta silente, alquanto ottusa) perché mai si dovrebbero stangare i pellegrini con multe da capogiro? Quindi continuiamo pure a vagare nella "monnezza": avanti popolo, il pattume è servito.