TTIP! Chi era costui? (Secondo Tempo)
La questione degli OGM, per quanto spinosa, non rappresenta l’unica criticità ascrivibile al Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti.
Pare che anche i marchi DOC e DOP corrano un serio pericolo: cinquanta senatori americani hanno scritto una lettera al loro Ministro dell’agricoltura sottolineando l’urgenza di eliminare le denominazioni geografiche promosse dall’Unione Europea, che a loro dire rappresenterebbero delle restrizioni e non il sacrosanto riconoscimento di caratteristiche qualitative ben precise dipendenti dal territorio di provenienza di un dato prodotto.
Questa “battaglia” tuttavia sembra quasi una farsa se consideriamo che determinate aziende che nulla hanno a che vedere con la tradizione tricolore sfruttano da tempo le nostre eccellenze alimentari a tal punto che la bellezza di 108 formaggi (quasi tutti spalmabili, ça va sans dire) fa bella mostra di sé sugli scaffali di notissime catene americane di supermercati recando sulla busta la seguente dicitura: “Asiago”.
Il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, ha denunciato il fatto che determinate aziende hanno immesso sul mercato delle imitazioni di prodotti italiani, le quali, ironia della sorte, possiedono un valore economico stimato intorno ai 60 miliardi di euro l’anno, mentre noi esportiamo il vero prodotto italiano per un valore di 33 miliardi l’anno.
Un altro aspetto controverso è quello della clausola ISDS (Investor-State Dispute Settlement), che riguarda la soluzione delle controversie internazionali attraverso tribunali privati: nel caso in cui uno Stato legiferi in contrapposizione con un accordo internazionale l’azienda straniera che ne ricava uno svantaggio dovrà essere tutelata (leggi: risarcita).
Di tutti i procedimenti aperti presso i tribunali ISDS nel mondo vi è una manciata di avvocati che gestisce la risoluzione del 55% dei casi e costoro ruotano dal ruolo di giudice in un determinato procedimento a quello di accusa contro un determinato Stato in un altro.
Per di più non sono previsti ricorsi, quindi una volta stabilito che uno Stato debba pagare una penale o risarcire, dovrà sborsare. Punto.
Questi tribunali ISDS non hanno una sede fissa, sovente si riuniscono nelle sale conferenze degli alberghi e proprio lì convocano gli Stati chiamati in causa.
Sarà bene ricordare che la multinazionale francese Veolia, leader nel settore dello smaltimento dei rifiuti, ha fatto causa all’Egitto poiché nel 2014 mediante un referendum costituzionale è stato introdotto il salario minimo (120 euro al mese contro i 64 versati dalla multinazionale ai propri dipendenti), nonostante la risoluzione non riguardi ancora il settore privato ma solamente quello pubblico.
Sottoscrivendo il TTIP l’Unione Europea si troverebbe nella medesima condizione sfavorevole: un investitore americano qualora si sentisse minacciato potrebbe citare in giudizio i governi, obbligandoli a risarcimenti milionari.
In altre parole le aziende, per tutelare i propri interessi economici, avrebbero la facoltà di opporsi alle politiche sanitarie, ambientali e finanziarie mettendo a repentaglio la sovranità di un singolo Stato.
A tal proposito non sarà superfluo rammentare che i Paesi dell’UE hanno adottato le normative dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne, mentre gli Stati Uniti hanno accettato solo 2 degli 8 principi fondamentali, il che potrebbe ledere i diritti fondamentali dei lavoratori europei.
Il Trattato potrebbe riservare brutte sorprese anche per il fatto che i negoziati si pongono come obiettivo la privatizzazione dei servizi pubblici, inclusi i settori dell’acqua e dell’istruzione.
Proprio in questi giorni la Francia ha minacciato di bloccare i negoziati sul TTIP, poiché secondo Matthias Fekl, il segretario di Stato al Commercio estero di Parigi mentre Bruxelles moltiplica le sue concessioni, Washington non avanza alcuna offerta seria e il tutto si verifica in una totale mancanza di trasparenza e in una grande opacità che mettono a rischio la democrazia.
Fekl ha inoltre denunciato che i deputati statunitensi hanno accesso a un numero di documenti di gran lunga maggiore rispetto ai deputati europei, sottolineando la palese asimmetria fra le parti coinvolte nelle trattative.
Questi elementi, sommati a una certa “ritrosia” dei mezzi di informazione che non danno il giusto risalto a quel che sta accadendo, delineano un quadro tutt’altro che rassicurante.