Un sorriso pieno di musica
Ci sono delle notti che sembrano destinate a schiudersi come un fiore oscuro.
I suoi petali li sentiamo pesanti come solo le macerie di un sogno franato sotto il peso della realtà sanno essere.
Sono coltri nere come la pece, maledettamente opprimenti. E allora il pensiero, fiaccato da questa claustrofobia mentale, arriva al limite della sopportazione: anela a una boccata d’aria fresca, vagando disperatamente in cerca di una via d’uscita.
Inizialmente si muove in un intrico di rovi, ma anche a costo di sanguinare non può restare immobile.
Nelson Mandela è morto. Rovi e poi ancora rovi.
Apartheid, segregazione, prigionia, Nobel, pace. Le spine non danno tregua allo spirito.
Sono concetti che mi sfuggono, non sono in grado di coglierne l’essenza.
Come posso anche solo tentare di immaginare tutto questo? Come può essermi d’aiuto lo schermo del PC, così sterile nella sua ottusa fissità?
Non ci voglio pensare. Perché sono parole monolitiche quelle che mi gravitano nella mente, saturano il cervello.
Realizzo che la mia testa in questo momento è ovattata, si è riempita di carta, la carta dei giornali e dei libri attraverso i quali ho potuto costruirmi dei ricordi del tutto artificiali di dolore.
La persecuzione non si è insinuata nella mia esistenza come un veleno. E allora perché questa sofferenza è così reale, accidenti a lei? Apartheid. Mi trema la terra sotto i piedi solo a pensarci.
La complessità di questo termine mi costringe ad ancorarmi alla scrivania, ho la sensazione che da un momento all’altro si apra una voragine sotto di me.
Cosa posso fare? Ecco, ci sono, cerco un’immagine di Mandela, perché ho un disperato bisogno di condensare i miei disgregati pensieri anche solo per mezzo di una fotografia.
Compare un sorriso. Ma che dico, un sorriso? Un caleidoscopico ritratto di serenità, piuttosto, poiché ci vedo tanta vita, multiforme e colorata, nonostante la morte, nonostante tutto.
E allora quasi controvoglia, sorrido anch’io. La mia mente comincia finalmente a respirare. Tutto l’amore per il genere umano racchiuso in quell’espressione riempie fino in fondo i polmoni dell’anima.
Il primo presidente del Sudafrica dopo l’apartheid, eppure 95 anni sembrano leggeri e fugaci come un battito d’ali.
Un momento: 27 anni di carcere; un figlio morto di AIDS; un’esistenza di lotte per l’esistenza stessa. Dovrei fremere di rabbia e infelicità. Tuttavia continuo a sorridere, perché Nelson Mandela sorride: tutto intorno a me si fa armonia.
Lo schermo del PC non mi affligge più con quella sua aria stolida, ho lo sguardo fisso su di lui ma non lo vedo affatto, perché improvvisamente ho gli occhi pieni di speranza. Senza sapere come mi ritrovo ad ascoltare One Love di Bob Marley: la mia testa non è più colma di carta, ma solo di musica.