10 marzo 1302 Alighieri Dante condannato a morte
Sentenza di condanna emessa dal tribunale del Comune di Firenze il 10 marzo del 1302
“Alighieri Dante è condannato per
- baratteria;
- frode;
- falsità;
- dolo;
- malizia;
- inique pratiche estortive;
- proventi illeciti,
- pederastia;
e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”.
Non sorprende certo questo atteggiamento giustizialista dell’epoca, in cui il processo era sostanzialmente inquisitorio dove se non venivano trovate prove a discarico dell’accusato si arrivava al noto utilizzo di metodi coercitivi disumani, come la tortura. Sorprende piuttosto come oggi il processo italiano non sia di fatto cambiato: basti osservare i fatti recenti rispetto al losco e incostituzionale riparto dei poteri interni alla magistratura piuttosto che magistrati inquirenti che non depositano atti d’ufficio non conosciuti dalla difesa e che discolpano l’imputato (caso Eni),, piuttosto che la connessione malefica con i mass media tale da produrre processi mediatici sin dai primi atti di indagine in completa difformità rispetto al principio costituzionale segnato all’articolo 27 della Carta che dice testualmente che l’imputato è presunto innocente sino a condanna definitiva. Nel frattempo nella maggior parte dei casi ne viene smontata la dignità e dopo molti anni in caso di assoluzione non ne viene praticamente mai data la stessa valenza rispetto alle accuse preventive mosse contro il malcapitato. In sintesi è chiaro come la giustizia sia rimasta sostanzialmente inquisitoria, con la compartecipazione in mala fede del potere mediatico. Sarebbe ingiusto inoltre non ricordare che da almeno 30 anni questo modus operandi contrario ai precetti dei Padri Costituenti, che pure sapevano benissimo cosa fosse la tirannide, abbia prodotto veri e propri atti politici diretti allo screditamento della classe politica italiana, che una volta distrutta è stata rimpiazzata da soggetti assolutamente meno preparati, se non allevati ad arte, a difendere con un sano patriottismo ed orgoglio l’interesse nazionale italiano nei consessi internazionali ed europei.
A. C.
Penso che sarebbe opportuno un dibattito sulla “giustizia politica” ai tempi di Dante (il quale è stato processato condannato dopo che i suoi avversari politici avevano preso il potere a Firenze) e anche ai nostri tempi. Un altro dibattito poi assai opportuno sarebbe quello sull’insensibilità degli italiani al fatto che il Sommo Poeta sia stato “condannato” per reati infamanti – tra i quali corruzione e concussione ma anche pederastia – Una condanna dalla quale ancor oggi egli non è stato riabilitato adeguatamente. Per quanto mi risulta la scuola italiana, anche nei più alti gradi, ha sempre parlato di Dante come se fosse soltanto un letterato. Mentre chiunque si informi un po’ (oggi molte informazioni si trovano facilmente sul web) può constatare che egli fu prima prima ancora che un letterato un uomo politicamente impegnato in prima persona e che ha pagato le sue sconfitte politiche con questa condanna. Questa scarsa attenzione alla vita vera e vissuta del Poeta, a mio parere, rende lo studio delle opere di Dante astratto e molto meno attraente di quanto potrebbe essere. Si provi a pensare ad es. all’enorme sofferenza di Dante di fronte a questa sentenza che lo condanna come un volgare e abominevole malfattore meritevole di essere punito con la morte eseguita per mezzo del “fuoco” (sul rogo).