IMAGINE (Immagina)
La canzone “Imagine” (Immagina) di John Lennon ha cinquant’anni. (1971-2021).
La discussione sul testo era aperta cinquant’anni fa ed è rimasta aperta ancora oggi.
La differenza tra allora e oggi è questa: cinquant’anni fa se ne discuteva; oggi non se ne discute più.
A mio modestissimo parere sarebbe bene se ne discutesse ancora.
Lennon era nato a Liverpool, il 9 ottobre 1940 ed è morto assassinato a New York, l’8 dicembre 1980.
N.B. Voglio dire subito e apertamente ai lettori che io non condivido del tutto qualche affermazione di questo testo. Condivido la tesi di fondo: è possibile raggiungere la concordia fra gli esseri umani superando le divisioni storicamente prodotte da concezioni religiose, da divisioni territoriali, dall’avidità di possesso.
Ma ciò che mi preme di più è richiamare l’attenzione sull’importanza del discutere sui temi di cui parla la canzone. Propongo appunto che si apra – anzi si riapra– la discussione già in corso cinquant’anni fa. Io direi, meglio se riusciremo a discutere secondo il metodo proposto da Platone di cui si è detto in questo blog nell’articolo del 23 agosto scorso.
IMMAGINA
Immagina che non ci sia il paradiso
è facile se ci provi
Nessun inferno sotto di noi
e sopra di noi solo il cielo
Immagina che tutti
vivano solo per l’oggi
Immagina che non ci siano patrie.
Non è difficile
Niente per cui uccidere o morire
e che non ci sia nessuna religione.
Immagina che tutti
vivano la vita in pace
Tu puoi dire che io sono un sognatore
ma non sono il solo.
Spero che un giorno ti unirai a noi
e il mondo sarà unito.
Immagina che non ci sia il possesso.
Mi domando se ci riesci
Nessun bisogno per avidità o fame
la fratellanza fra tutti gli uomini
Immagina che tutti
Condividano tutto il mondo.
Tu puoi dire che io sono un sognatore
ma non sono il solo.
Spero che un giorno ti unirai a noi
e che il mondo vivrà unito.
IMAGINE
Imagine there’s no heaven
It’s easy if you try
No hell below us
Above us, only sky
Imagine all the people
Livin’ for today
Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion, too
Imagine all the people
Livin’ life in peace
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will live as one
La canzone ritrae perfettamente il tipo di societa’ sognata negli anni in cui e’ stata scritta. Un cantante cosa puo’ fare se non sognare? E’ bello sognare, da un senso di liberta’.
Ma se analizziamo le parole per il loro significato… a me personalmente non viene in mente una societá unita, ma una societ’a di individui tutti uguali.
Probabilmente era il sogno degli anni 70, qualche anno dopo woodstock.
In ogni caso rimane un capolavoro.
Gentile Alberto Camerotto, come dicevo ad altri lettori io penso che John Lennon non abbia inventato l’utopia di cui parla la sua canzone. Io credo che essa possa essere riscontrata già in quei passi del Vangelo in cui si parla di “pace in terra agli uomini di buona volontà”, e siamo a 2.000 anni fa. L’utopia è sempre stata presente poi in varie correnti di pensiero in tutte le epoche successive. Direi che negli ultimi tre secoli essa ha trovato una formulazione che può essere sintetizzata nel concetto: “Libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti”. Non credo sia giusto dire che questo concetto vuole prefigurare una società di individui tutti uguali. Tutt’altro. Semmai esso propone una società di individui ugualmente liberi sia in senso formale (davanti alla legge) sia in senso sostanziale (pari opportunità per ciascuno di sviluppare le proprie potenzialità individuali). Sono concetti che, a mio modesto parere sono rinvenibili, in un altro testo molto più elaborato: il testo della Costituzione della Repubblica Italiana. Qui il discorso si fa naturalmente molto più complesso e impegnativo. Ne discuteremo spero in prossimi articoli.
Sig Giorgio, il fatto che tutte le “immaginazioni” proposte nel testo siano sostenibili da più di un sognatore non dimostra nulla circa la loro realistica proponibilità. E lavorare troppo di immaginazione produce solo illusioni, delusioni, guai anche grossi. Lo dimostra la storia della umanità a tutt’oggi (vedi catastrofe afgana). La conclusione è che la immaginazione può sì essere utile ad indicare una direzione di marcia ma ogni passo di questa marcia deve fare i conti col crudo pragmatismo. Anche per vender dischi.
Prima che l’aeroplano fosse inventato, alcuni uomini sognavano di volare e la maggior parte degli altri uomini li deridevano. Il sogno dei sognatori ha prodotto lo studio del rapporto fra cause ed effetti dei fenomeni che avrebbero potuto produrre il volo. Lo studio ha ideato e messo in atto molti tentativi ed esperimenti. I tentativi e gli esperimenti per molto tempo non hanno avuto successo e i sognatori sono stati ancora derisi. Poi un bel giorno nel 1903, i fratelli Wright riuscirono a far spiccare il volo ad una sorta di aliante dotato di un motore da 16 cavalli in Carolina del Nord, USA. Questo primo volo durò 12 secondi. Da quel giorno nessuno ha più pensato che il volo dell’uomo fosse un sogno vano. E i progressi nel volo si sono succeduti in quantità strabiliante.
Così io credo accada in tutti gli aspetti che riguardano il vivere dell’uomo in questo mondo. La morale che io ne traggo è che sognare non nuoce.
Sig. Giorgio non confondiamo i progressi (giganteschi) della tecnica con quelli (assai modesti) della politica e della cultura in senso ampio. Ed immaginare un modo alla Lennon è cultura e politica. A lei pare che, solo per restare alla attualità, la strage di civili all’ aeroporto di Kabul dimostri un qualche miglioramento rispetto alla “cultura” delle caverne? a me no. Anzi direi che all’epoca delle caverne tra gli uomini c’era meno ipocrisia. Sognare è spesso bello e consolatorio ma se si vive solo di sogni questo è viatico certo per fallimenti disastrosi.
Caro Bastanzetti, nel 1961 (sessant’anni fa, dieci anni prima che fosse pubblicato il testo di cui parliamo) tra i miei coetanei (all’epoca intorno ai vent’anni) ogni incontro era buono per discutere su questi temi. Le discussioni erano molto accese. Anche allora c’era sempre un gruppo che sosteneva, come lei, che gli esseri umani rimarranno sempre bestie feroci pronte a dilaniarsi reciprocamente; in pratica che la convivenza umana era determinata ferreamente dalla legge di natura “homo homini lupus”.
Un altro gruppo sosteneva invece che gli esseri umani si distinguono dalle bestie perché posseggono la ragione-coscienza. Secondo costoro la ragione-coscienza, nella storia umana è stata la “luce” che ha illuminato le tenebre della convivenza belluina e ha dato il via al “progresso” che viene denominato “morale” o “civile” o “spirituale” o “politico”. Questo progresso non è stato lineare, ma tortuoso difficile e contraddittorio non privo di conflitti anche cruenti. Tuttavia chiunque osservi il corso della storia delle genti più diverse non potrà negare che la ragione-coscienza ha ideato (e in parte anche realizzato) “forme di convivenza” via via più progredite. Il progresso è obiettivamente riscontrabile in molta parte dell’umanità. E ciò è avvenuto perché ci sono stati uomini, che hanno continuato a “ideare” (immaginare) modelli di convivenza sempre più rispondenti ai principi dettati dalla “ragione-coscienza”. Uno di questi modelli ideali – che il gruppo in questione considerava tra i più progrediti in tutto il mondo – è ravvisabile in un testo denominato Costituzione della Repubblica Italiana. Un testo che contiene in sostanza le stesse idee della canzone di cui parliamo.
Anche questo testo può essere definito “utopia”. Quei giovani la definivano “utopia ragionevole” o “ragionata”. Mi fermo qui. Ma la discussione può e deve rimanere aperta.
Il celebre brano di Lennon è un manifesto chiaro della società aperta. Quella che la globalizzazione economica propugna e celebra oggi non è però quella proposta dal noto cantante (una si riferisce a dati meramente economici ed affaristicoli, l’altra a relazionali, affettivi, religiosi, sociali e psicologici).
Un punto di partenza importante sarebbe capire come poter raggiungere la tanto sperata società aperta di Lennon, da dove cominciare?
John Lennon, come lei sa, non ha inventato l’utopia di cui parla la sua canzone. Io credo che essa possa essere riscontrata già in quei passi del Vangelo in cui si parla di “pace in terra agli uomini di buona volontà”, e siamo a 2.000 anni fa. L’utopia è sempre stata presente poi in varie correnti di pensiero in tutte le epoche successive. Direi che negli ultimi tre secoli essa ha trovato una formulazione che può essere sintetizzata nel motto: “Libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti”. Certo è più facile enunciare il concetto che realizzarlo. Ma come dicevo all’altro lettore, è necessario studiare, sperimentare, tentare. La mia generazione (che è quella di Lennon) ancora dieci anni prima che Imagine fosse pubblicata (nel 1961) era convinta che il momento della realizzazione fosse imminente. Ma come si vede bene finora tutti gli esperimenti sono andati storti. Eppure io credo si debba continuare a sognare, a studiare e a sperimentare e perciò a DISCUTERE. Il successo potrebbe arrivare all’improvviso e inaspettatamente come per il volo. Le persone che hanno oggi vent’anni potrebbero vedere la luce alla fine del tunnel.