Dio come coscienza
San Tommaso d’Aquino (1225-1274)
SESTA PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO
(Ricalcata sulle cinque prove (o vie) di San Tommaso d’Aquino)
Dio come coscienza (Quaderno degli appunti aprile 1959)
Ogni uomo è dotato di “coscienza” (consapevolezza di esistere e di pensare).
La coscienza umana è capace di formarsi una rappresentazione di se stessa per mezzo di se stessa.
La coscienza umana nello svolgere detta rappresentazione si rende consapevole della sua “imperfezione”, “limitatezza” e “contingenza” (del suo esistere non necessario).
Una volta che si è formata la rappresentazione di cui sopra, la coscienza umana è “logicamente” obbligata a pensare che non si è formata (non è venuta in essere) da se stessa.
Quindi deve necessariamente pensare che esiste una Coscienza perfetta che ha creato le coscienze imperfette degli uomini (le quali coscienze benché imperfette possiedono – e sono consapevoli di possedere – il concetto di perfezione).
In sintesi. Ogni essere umano è costretto “logicamente” a pensare che all’origine dell’esistere della sua coscienza imperfetta “deve” necessariamente “esistere” una Coscienza perfetta (Intelligenza perfetta cosciente di esistere).
Questa Coscienza perfetta merita di essere denominata come “Dio” (Persona).
L’importanza di questa via è che prova l’esistenza di Dio non solo come “principio primo dell’essere” (il “dio” di Aristotele), ma ci permette di pensare che il Principio primo non solo “è”, “esiste” ma che il suo essere (e la sua essenza) è “Coscienza” quindi “Persona”.
N.B. A coloro che vedono in questo discorso un atto di presunzione di un tale che vorrebbe insegnare qualcosa a San Tommaso d’Aquino dico: “Questo discorso non è mio; è fatto ricalcando pedissequamente il procedimento argomentativo del Massimo Dottore al quale va comunque la paternità e il merito se il discorso è valido. Mentre se il discorso non è valido – cosa possibilissima essendo il sottoscritto un povero principiante negli studi di filosofia e teologia – la colpa è tutta di chi lo ha fatto (aprile 1959).
vorreri fare un pò di chiarezza. La nostra mente, quando pensa, trae origine da tre fonti: ciò che percepiamo con i sensi (e che si colloca nella categorie dello spazio e del tempo), ciò che percepiamo a livello psichico (come i sentimenti e che si collocano solo nel tempo. L’amore per esempio non ha una dimensione spaziale) e ciò che è frutto di un operare mentale. Il presenziato che percepiamo con i sensi non è la realtà, perché ciò che chiamiamo realtà è un dare forma attraverso la mente a ciò che percepiamo. La lezione di Kant è indiscutibile (spero che lei lo abbia studiato). Inoltre noi utilizziamo delle categorie per descrivere ciò che percepiamo. Per esempio spazio, tempo, inizio, fine, tutto, nulla, grande, piccolo, ecc. non esistono da sole, ma sono categorie che applichiamo a ciò che percepiamo. Le categorie non sono cose. Lei non troverà da nessuna parte inizio, fine, grande, piccolo. Per esempio se prendo una matita in mano posso dire che l’inizio è la punta, la fine l’altra estremita. Ma potrei benissimo rovesciare la cosa e dire che la punta è la fine. Purtroppo la filosofia, da sempre e quasi sempre (e come ha fatto san Tommaso) ha pensato che conoscere fosse uno rispecchiare ciò che è esterno a noi dimenticando l’attività costitutrice della mente. Per esempio di fronte a un bosco posso dire: è un bosco, oppure sono alberi. Siamo NOI A DECIDERLO. Oppure traccio un segno con una matita. E’ una linea o una striscia? Siamo noi a deciderlo in base al fatto se consideriamo lo spesso o no. Siamo noi a decidere di fronte a qualcosa cosa cosa è in primo piano e cosa è lo sfondo. Ultimo passaggiore. La grande tentazione è quella di scambiare ciò che è un costrutto mentale per realtà, cioè l’assegnazione della categoria di cosa a ciò che è costruito dalla mente. Lei non troverà mai un numero in natura perché il numero è il frutto di una operazione mentale, in questo caso del contare. O per esempio pensare con la mente a un Dio e attribuirgli la categoria di cosa crea degli assurdi. Questo Dio allora, se è una cosa, è finito o infinito, è grande o è piccolo, ecc.
Inoltre non bisogna confondere mentale con logico. Il principio di non contraddizione fa parte della logica, mentre con la mente possiamo benissimo pensare qualcosa di scorretto dal punto di vista logico.
Per capirci qualcosa suggerirei “La mente vista da un cibernetico” di Silvio Ceccato o altre opere sue o della Scuola Operativa Italiana.
Tanto le devo.
Gentile Ugo Agnoletto, intanto la ringrazio per l’attenzione. Il suo commento è piuttosto complesso. Mi riservo di risponderle puntualmente dopo averlo studiato adeguatamente.
Per il momento dirò anche a lei che la tesi in esame è stata da me elaborata nei mei anni giovanili ed è stata pedissequamente “ricalcata” sullo schema delle cinque vie di Tommaso d’Aquino. Io stesso, subito dopo averla formulata (aprile 1959), mi sono arrovellato, e mi sto arrovellando tuttora, attorno a tutti i problemi che essa pone e di cui spero di poter parlare nei prossimi interventi. Mi permetta comunque di chiederle di dare un’occhiata alla prima risposta che ho dato al precedente commentatore. E poi di dirmi, se crede, se è o meno d’accordo con me su questa tesi: “Il concetto di “coscienza” può essere considerato come “universale” ossia innato nella mente degli esseri umani in tutti i tempi e luoghi”.
Un dubbio… Se nella mia mente si crea l’immagine di un oggetto non reale (ad esempio un cane a tre teste) potrei comunque affermare che esso esiste perché è presente nella mia mente. Se poi io riuscissi a descriverlo in modo tale da farlo “comparire” nelle menti altrui esattamente per come me lo raffiguro, si potrebbe dire che l’oggetto in questione esiste ed è lo stesso per tutti. Dove sto sbagliando?
Non sbaglia.Se lei riesce a descrivere una sua immagine di un oggetto in modo tale da farla “comparire” nelle menti altrui esattamente per come lei se la raffigura, l’oggetto in questione esiste ed è lo stesso per tutti. (naturalmente se lei riesce…)
Condivido la premessa sulla coscienza umana che si riconosce imperfetta. Non condivido la “logica” della necessità dell’esistenza di una Coscienza perfetta.
Che le nostre coscienze possiedano il concetto di perfezione credo non sia sufficiente per affermare che essa debba esistere necessariamente.
L’uomo cerca consolazione in entità superiori che gli permettano, in via mediata, di raggiungere la perfezione che non ha. D’altra parte si sforza in tutti i modi per arrivarci, mi ricorda il comportamento di certe funzioni asintotiche…
Gentile Marco Zardetto, comprendo bene le sue osservazioni critiche. Io stesso dopo aver elaborato questa tesi (nel 1959 a 17 anni non ancora compiuti) l’ho messa subito in discussione e ho pensato che non è per niente facile compiere quel “salto logico” che ci porta dal pensare una realtà imperfetta al pensare “l’esistenza” della realtà perfetta. Di questo tema e problema mi riservo di parlare più ampiamente in seguito. Ho presentato questa tesi dei miei anni giovanili perché essa mi sembra un buon punto di partenza per cercare quei concetti “universali” che, a mio parere, sono presenti nella mente di ogni essere umano in ogni tempo e in ogni luogo. Concetti di cui ho parlato negli articoli precedenti (es. il libro del minimo, diverso è sempre uguale, semplice, più semplice ecc.). Uno di questi concetti “universali” che io credo sia appunto il concetto di “coscienza” (cui è connesso il concetto coscienza della propria limitatezza) . Credo si tratti di un concetto fondamentale (a prescindere dal discorso che in esso si possa trovare o meno una via per dimostrare l’esistenza di Dio). Avremo sicuramente modo di parlarne più avanti. Grazie comunque per l’attenzione.