La vita è spendere vita
La vita è spendere vita
seminare
quando siamo vivi e viviamo
e amiamo
che il sogno resti con noi
non interrogare più
nella notte amica
il chiarore dell’alba imminente
per i segni del nuovo giorno
il sogno
alimenti l’amore
e l’amore il sogno
e
* (Giorgio Pizzol Le stagioni del presente 1991 Premio letterario de Il Gazzettino 30.5.’93 Concorso Internazionale di Poesia “Città di Venezia” 17° Edizione)
https://www.mondadoristore.it/Le-stagioni-del-presente-Giorgio-Pizzol/eai979122143743/
Forse mancavano i 3 puntini… una sorta di soggettiva conclusione.
il sogno
alimenti l’amore
e l’amore il sogno
e… il sogno i ricordi
e i ricordi la nostra vita
e la vita per chi l’ha donata
nella patria per i cari
perchè il sacrificio non sia vano.
Gentile Alberto Camerotto, sui puntini di sospensione la prego di dare un’occhiata alla risposta che ho dato a Michele Bastanzetti. Sui versi che lei propone ora mi trova concorde quanto a contenuto e forma. Immagino che siano suoi e non posso che ringraziarla per aver sviluppato autonomamente il tema.
In questa fase della mia vita sento che il tempo è la mia risorsa più preziosa e scarsa. L’ottimismo è una linfa vitale il via di estinzione e scarsa è la voglia di dispensare parole e concetti alti. Eppure sento sempre l’esigenza di essere integra, di mantenere i miei ideali e le mie speranze, di avere una piccola patria di persone con cui sentirmi in sintonia, di seminare sapendo magari di non raccogliere. “Dà quel che è santo ai cani, getta le perle ai porci. L’importante è dare.”
Mi pare che il concetto sia abbastanza simile. Il mio discorso però, come dicevo al lettore precedente, era molto più limitato. Era riferito alla mia sofferenza per la difficoltà di comunicare in un particolare momento della vita. Era una confessione, non un messaggio. Comunque condivido il concetto.
Egr. Silvana il tempo è certo il bene più prezioso che ciascuno di noi ha, sia pezzente o re. E si può usarlo bene o male sia da pezzenti che da re. Non concordo sull’ assioma che “l’importante è dare” incluso il dare “ciò che è santo ai cani e le perle ai porci”. L’importante è invece dare con criterio, affinché del dono si comprenda valore ed utilità e che esso, dunque, non sia dato invano.
Gentile Michele Bastanzetti, la mia era una citazione di Borges in cui lo scrittore rivede le parole del Vangelo che invitano a non gettare le perle ai porci. Dare agli altri però può consistere anche nel manifestare la nostra indignazione e ribellione verso dei loro comportamenti che riteniamo ingiusti o violenti. E’ il non prendere posizione che mi sconcerta. Inoltre ci sono delle occasioni in cui si decide di essere generosi, di spendersi per qualcosa di più grande rispetto ai nostri egoismi, di immettere energia positiva. Anche se non si sa se il nostro dare produrrà frutto, fa comunque bene a noi. Non è retorica, in quanto l’ho sperimentato.
Egr. Silvana, Borges ne doveva mangiare tanta di pastasciutta prima di azzardarsi a emendare le parole del Vangelo. Circa il “dare”, non possiamo certo pretendere che esso sempre “produrrà frutto” ma è legittimo chiedersi, prima di donare urbi et orbi ed a oltranza, come tale gesto sarà interpretato e vissuto. Il dare perché esso faccia bene a noi stessi non mi pare poi una buona motivazione. Anzi, la trovo piuttosto autocelebrativa e autoassolutoria.
Riguardo alla sua ultima risposta, ho l’impressione che la sua mente sia abitata da un pensiero rigido e poco disposto al dialogo, pratica che ha bisogno di apertura e ascolto vero e di non giungere a conclusioni frettolose. Ad esempio, non ho mai affermato che sia giusto donare urbi et orbi. A dimostrazione di ciò, chiudo qui serenamente il mio (mancato) dialogo con lei.
A me il dialogo pare avviato, Egr. Silvana, con posizioni chiare da parte mia. Leggo nell’ ultima sua, invece, una sorta di ritrattazione (accenno all’ urbi et orbi). Saluto con serenità ed immutata, elastica disponibilità al confronto.
Quell’ “e” finale, da sola a capoverso, è tremendamente inquietante ed ipnotica; il centro magmatico della intera lirica. Cosa implica, cosa sottende, cosa tace e nasconde quella “e”?
Confesso che mi trovo in grande difficoltà a rispondere a questa domanda. L’espressione lirica dipende spesso da una combinazione casuale fra sentimento, consapevolezza, e influenze ambientali e può diventare indecifrabile per lo stesso autore. Provo comunque a rispondere perché ritengo giusto che un autore dia un’interpretazione autentica di ciò che vuole esprimere.
Come si legge nei versi precedenti l’autore rivolge a se stesso un invito a non voler dominare a tutti i costi il procedere della sua vita. Un invito a spendere le proprie risorse vitali senza preoccuparsi di ottenere risultati. A seminare senza pensare di raccogliere. In sintesi: a vivere il presente abbandonandosi al sogno, sperando che il sogno possa alimentare l’amore e l’amore, a sua volta, il sogno e così via. La “e” finale avrebbe potuto essere seguita dai puntini di sospensione per indicare al lettore che l’interazione fra sogno e amore avrebbe dovuto continuare. Ma i puntini non sono stati aggiunti deliberatamente perché, in quel momento, la speranza era troppo debole e faceva soffrire molto severamente l’autore medesimo. L’effetto che si voleva creare nel lettore era appunto quello di fargli comprendere il peso di questa sofferenza (temperata appena appena – e troppo poco – dal sogno).
Le dirò che non mi dispiace affatto (anzi apprezzo) la definizione di questa “e” come “tremendamente inquietante ed ipnotica”. Direi che coglie davvero il senso del testo.