L’origine della coscienza. Percezione e auto-percezione
Percezione è sempre anche auto-percezione: percezione di un soggetto che, mentre percepisce un oggetto, percepisce se stesso.
Ogni percezione è COSCIENZA: sapere di sentire e di pensare.
La percezione è il fenomeno che si verifica ogniqualvolta un “soggetto” entra in in un contatto fisico (più o meno ravvicinato) con un “oggetto” e il contatto determina una “reazione” di un organo di senso (un sentire) del soggetto stesso.
Il fenomeno costituito dal “provare sensazioni” è un fenomeno “osservabile” sia all’interno di un organismo da parte dell’organismo stesso sia nelle manifestazioni che un organismo dà di esso al proprio esterno.
Detto fenomeno appare sempre come un elemento che consente di “distinguere” i corpi che sono “organismi viventi” da quelli che non lo sono.
Solo corpi che “sentono” e “mostrano di sentire” possono “apparire” (essere percepiti) ed “essere rappresentati” come “organismi viventi”.
Il percepire consente a ogni soggetto di “sapere” (di conoscere) in primo luogo “attorno al proprio essere”, attorno a se stesso.
Es. quando sento dolore, piacere, paura, desiderio, freddo, caldo “sento” e, nello stesso tempo, “so” che “esiste” (è in vita) il “mio organismo”: quella “cosa” che costituisce “il mio particolare essere”, ed “essere in vita”, “il mio vivere”. Sento e so che esiste quella cosa che “é in se stessa” ed è da me “rappresentata” (pensata e conosciuta) come “me stesso”, “il mio io”.
Il “percepire” è quindi il fenomeno che “produce” in ogni essere vivente “il primo conoscere se stesso” come “cosa distinta” da qualsiasi altra. Quindi “il primo conoscere”, “rappresentare”, “sapere” da parte di un soggetto attorno alla propria “identità”, “individualità”, “unicità”. Il primo conoscere quella “realtà” che è costituita dal proprio “io”. Un conoscere nel quale “il soggetto che conosce” e “la cosa conosciuta” sono la medesima cosa, una cosa sola. Un sapere che è sempre un “sapere di sapere”, un sapere consapevole, un sapere cosciente quindi il primo elemento di ciò che chiamiamo “COSCIENZA” o “consapevolezza” o “(sapere intorno al proprio sapere).
Veniamo così a vedere chiaramente che il percepire, la prima e più elementare forma di conoscenza della realtà, è all’origine di quella “cosa” che chiamiamo COSCIENZA.
Naturalmente questo è un punto di arrivo di una ricerca improvvisata che va pensato come il punto di partenza per una lunga ricerca su una “cosa” che a quanto ci dicono gli esperti di scienze diverse (dalla biologia, alla psicologia, all’antropologia, alla fisica, alla filosofia) appare come il fenomeno più complesso dell’universo.
(Appunti 1961)
Qui cominciamo a scricchiolare Sig. Giorgio. Nel testo sostiene che “il percepire è all’origine della coscienza”, cioè che la forma. Nel successivo commento che “la coscienza è già presente nel semplice percepire” quindi è ad esso preformata o quantomeno che si forma in contemporanea al primo percepire (o ad ogni percepire). Qualunque sia la ipotesi che condividiamo resta la domanda: a che ci serve saperlo -sprecando tempo per interrogarci- fosse anche vero che mai riusciremmo a saperlo?
Sull’origine della coscienza sono state scritte intere biblioteche e il dibattito è ancora tutto aperto nel campo della filosofia, della psicologia, della biologia. Nel mio piccolo io ho pensato che sia possibile individuare detta origine all’interno del fenomeno della percezione. Ma non pretendo con questo di aver dato una risposta esaustiva sul punto. Gli scienziati della fisica e della biologia definiscono la coscienza come il fenomeno più complesso dell’universo e non sarò certo io a contestare questa tesi. Alcuni filosofi e teologi poi sostengono che la coscienza va individuata all’interno di quell’entità “metafisica” (trascendente, spirituale) che chiamiamo “anima”. Io credo che anche questa idea meriti di essere attentamente studiata e discussa. In ogni caso non vedo incongruenze nelle mie definizioni. Le vede lei, e io non saprei come difendermi da questa critica. Penso che per questo ci dovremmo rimettere ad un giudice terzo che volesse intervenire in questo dibattito. Quanto alla sua pregiudiziale sfiducia sull’utilità di studiare intorno alla coscienza le dirò soltanto che non la condivido per nulla. Nei prossimi capitoli (quando affronteremo il tema dell’universalità della coscienza) le spiegherò meglio perché.
Sig. Giorgio, rispetto la sua ricerca. Considerato che nonostante intere biblioteche scritte nei secoli sull’ argomento e dottissimi dibattiti tra specialisti non si è arrivati ad alcuna conclusione, per quanto mi riguarda non intendo dedicare sforzi a questa impresa. La vita è breve, bisogna sapere selezionare i campi di pensiero, risparmiare energie per convogliarle su obiettivi realistici.
Caro Bastanzetti, sono pienamente d’accordo con lei nel pensare (la cito testualmente) che “la vita è breve, e che bisogna sapere selezionare i campi di pensiero, risparmiare energie per convogliarle su obiettivi realistici.”
Se lei osserva bene, in questo blog (come negli altri miei modestissimi scritti) io ho sempre tentato di fare proprio questa “operazione”: “selezionare” alcuni concetti “concetti-chiave” per mezzo dei quali sia possibile cercare – e anche trovare – risposte ai problemi più concreti del vivere e del convivere fra esseri umani.
Sulla concretezza del concetto di “coscienza” mi limito a farle notare che essa è presente nel concetto di “io”. (Anzi credo si possa dire che “coscienza” e “io” sono lo stesso concetto). Ora le domando: C’è qualcosa di più concreto che il concetto di “io”?
Quanto alle biblioteche scritte nei secoli sull’argomento credo non sia giusto dire che non hanno portato ad alcuna conclusione. Le biblioteche (oggi anche elettroniche) devono essere pensate come la raccolta dei più diversi tentativi di rispondere alle domande che travagliano la vita degli umani.
Ognuno di noi può tentare di scoprire (perché no?) anche consultando le biblioteche quei “concetti-chiave” di cui dicevo sopra.
E qui mi fermo. Il tema del rapporto fra ricerca individuale e le ricerche riportate nei libri sarà affrontato più avanti in interventi appositi.
Benon, Sig. Giorgio, ma a cosa ci può giovare lo stabilire che la coscienza deriva dal percepire? Potremmo forse indurre lo sviluppo esclusivamente di buone coscienze, mettendole nelle condizioni di percepire tutte e solo, esattamente, gli stessi stimoli? Mi pare che la storia abbia dimostrato che SI, molte coscienze possono anche essere pilotate (nel male e nel bene) ma non tutte contemporaneamente e non all’infinito. Anzi per lo più per tempi piuttosto ridotti. Conclusione: una coscienza unica universale, anche fosse auspicabile per la sua acclarata bontà (chi la decide?) , non è realizzabile; quindi inutile arrovellarsi.
Andiamo con ordine. L’articolo sostiene questa tesi: un soggetto che abbia una percezione sensoriale, percepisce nello stesso tempo anche se stesso. In altre parole se io vedo, odo, odoro ecc. mi formo una rappresentazione mentale di un oggetto e, nello stesso tempo, percepisco “il mio io” (che percepisce). Considerato ciò si può affermare, secondo me, che quella cosa che chiamiamo “coscienza” è già presente nel semplice percepire.
La tesi è ovviamente discutibile. E su di essa la discussione è aperta.
Ma la discussione riguarda soltanto il rapporto fra percezione e coscienza.
Capisco che lei dalla lettura degli articoli precedenti, ha intuito che il mio discorso vorrà arrivare alla tesi secondo la quale esiste una coscienza universale. Ma le chiederei di esprimere per ora il suo parere sulla tesi sopra esposta (molto più limitata) e di dirmi se la condivide o meno.
Di coscienza universale parleremo certamente in prossimi interventi.