Semplice, più semplice, ancora più semplice…
Il pensiero o concetto di “semplice” è (secondo quanto risulta dai mei studi condotti in perfetta solitudine dal ’58 al ’62) un concetto “universale”: innato nella mente di tutti gli esseri pensanti, uguale per tutti in ogni tempo e in ogni luogo.
Darei questa definizione di “semplice”: un oggetto costituito da un solo elemento.
Se ci guardiamo intorno raramente vediamo oggetti semplici. Un libro, una penna, un tavolo, un’automobile, ecc. sono tutti oggetti “composti” da molteplici elementi. L’acqua è una delle cose ci appaiono costituite da un solo elemento. Ma la chimica ci insegna che, se dividiamo l’acqua in parti sempre più piccole, ad un certo punto ci troviamo di fronte ad un corpuscolo (molecola) formato dalla “composizione” di due elementi: idrogeno e ossigeno. Più precisamente, da due atomi di idrogeno e da un atomo di ossigeno (H2O). Quindi anche l’acqua è un oggetto composto.
Sempre la chimica ci insegna che anche gli atomi di ossigeno e di idrogeno, e di tutti gli altri elementi, non possono essere definiti propriamente elementi “semplici” perché ognuno di essi è “composto” al proprio interno di “particelle” costituite ciascuna da propri elementi.
Sembra dunque che, per quanto riguarda la natura (la realtà materiale), tutti gli oggetti o corpi siano “composizioni” formate di più di un elemento.
Per quello che ne so, gli scienziati non hanno ancora trovato un oggetto veramente “semplice” ossia costituito da un solo elemento”.
Ma questo non è il problema di cui vogliamo parlare.
Il problema che ci poniamo è: “Può la nostra mente pensare un oggetto semplice?”
Vediamo. Nell’articolo precedente parlavamo del punto geometrico.
Il pensiero del punto geometrico sembra proprio faccia al caso. Più semplice del “concetto” di punto geometrico non ci dovrebbe essere proprio nulla. Esso è come ci dice la geometria un “ente” senza dimensioni. Più semplice di così si muore.
Ma, se ci riflettiamo sopra, vediamo che il punto geometrico non riusciamo mai a pensarlo davvero. Noi pensiamo, ad esempio, un punto qualsiasi della punteggiatura di questo articolo. Gli diamo un’occhiata. Sappiamo bene che esso non è il punto geometrico. È un cerchietto dimensioni ridottissime, ma ha ancora almeno due dimensioni (forse anche tre: un piccolissimo cilindro o una piccolissima sfera). Allora continuiamo a “immaginare” che queste dimensioni si riducano ancora di migliaia o milioni o miliardi di volte. Però finché riusciamo a pensare (ossia a formare nella nostra mente l’immagine di) un punto noi siamo sempre di fronte al pensiero un oggetto “visibile” (anche solo mentalmente) quindi pensiamo sempre un corpuscolo di dimensioni infinitesimali a forma di cerchio (o cilindro o sfera).
Per arrivare davvero a pensare il punto geometrico dobbiamo pensare a ridurre la nostra immagine mentale del punto fino al momento in cui essa diventa un qualcosa che non ha più niente di materiale, qualcosa che è “puro pensiero”, “immateriale” (non materiale), “non fisico” ma “meta-fisico” (che sta la di là di ciò che è fisico). Come dicevamo nell’articolo precedente: il punto geometrico è il punto d’incontro fra fisica e metafisica.
Ma per arrivare a questo risultato dobbiamo pensare che la riduzione continui “all’infinito”. Ecco il problema. Riusciamo davvero a pensare “un punto” che sia già stato ridotto all’infinito?
Ai lettori l’ardua sentenza.
Nessuno scherzo Egr. Senatore e siam perfettamente in tema. Infatti tra i campi di indagine della metafisica ( il punto come incontro tra fisica e metafisica…) ci son anche questioni come la immortalità dell’ anima, la teologia .
Lei, Bastanzetti, continua a non affrontare un tema alla volta. Il tema in discussione, introdotto da lei, era questo: Chi “crede” nell’immortalità ha paura della morte?” Io le avevo fatto notare che la risposta deve essere necessariamente:”No”. Chi crede nell’immortalità non ha paura della morte. Anzi, vede la morte come la liberazione da questa valle di lacrime. Egli “è certo” che la morte gli apre la via della felicità eterna (a meno che non sia in peccato mortale!). Come le dicevo sopra, il rapporto fra geometria, metafisica e teologia si può affrontare; lo affronteremo in appositi interventi, ma distinti dal discorso in questione. Prima dobbiamo finire questo discorso, poi affronteremo gli altri.
Non è vero, Senatore, che il cristianesimo considera la vita una valle di lacrime. Anzi la celebra e difende in tutte le sue forme ed invita alla letizia. Le tribolazioni che si affrontano nel suo corso son cosa distinta dal valire della vita, inevitabili. Il cristiano, secondo dottrina, non ha paura della morte (laudato si per sora morte…) ma, secondo la sua carnalità, è comprensibile che un po’ ne abbia. Lo stesso Gesù sulla Croce si lamentò perché si sentì abbandonato da Dio. Cosa ci aspetti dopo il trapasso non lo so, ma è un interrogativo per me ininfluente.
A sette anni ho imparato a memoria, tra gli altri, questo passo del Catechismo: Domanda: “Per quale fine Dio ci ha creato?” Risposta: “Per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in paradiso”. Il discorso è chiarissimo: “il cristiano non deve temere la morte”. Anzi deve essere pronto a morire. Perché solo dopo la morte egli può raggiungere il fine per cui Dio lo ha creato. Questo dice il catechismo. Tengo, precisare, Dr. Bastanzetti, che non è assolutamente mia intenzione contestare il Catechismo né criticare i cristiani. Ho parlato della dottrina cristiana e della concezione della morte che essa “prescrive” ai cristiani solo perché lei ha introdotto il tema della paura della morte. Ciò chiarito, le dico che, forse, lei potrebbe essere d’accordo con me su questo discorso: “All’origine di ogni ideologia (e quindi di ogni filosofia o religione – compresa la religione cristiano-cattolica -) vi è la paura della morte. (La prego di non fare come quel mio compagno di scuola che quando dicevo di essere d’accordo con lui, si arrabbiava, e mi diceva: “No, Pizzol, tu non puoi essere d’accordo con me perché sei comunista).
Ma allora Senatore da quel che dice sotto abbiamo trovato risposta alla ricerca del punto indivisibile! È l’ individuo, credente in Cristo, composto di anima e corpo che dopo esser sopravvissuto sulla terra si aspetta di sopravvivere anche nell’aldilà. Come vede l’ istinto alla sopravvivenza è il più semplice dei pensieri ed il più potente.
Caro Bastanzetti. L’argomento è della massima serietà. Non ci possiamo scherzare sopra. Chi “crede” di essere immortale (nell’anima e nel corpo) non “deve” aver paura della morte (per la contraddizion che nol consente). Che poi sia difficile “credere” non sarò io a negarlo. In ogni caso, io direi di tener distinti il concetti della geometria da quelli della teologia. Se ne può parlare, ma “distintamente”.
Questi studi (che ho svolto in perfetta solitudine dai 16 anni in avanti) avevano e hanno lo scopo di cercare quali siano i concetti e le operazioni mentali che possono essere considerati come “universali” ossia comprensibili da tutti, in tutti e tempi e luoghi. Conoscere questi concetti universali, secondo me, è importantissimo. Se vi sono pensieri “universali” è possibile che qualsiasi persona comunichi, e sia capita da qualsiasi altra (senza distinzione di cultura, storia, condizione sociale ecc.) almeno quando espone questi pensieri. Il pensiero di “punto” a me sembra essere uno di questi pensieri. Il pensare attorno al punto ci porta poi a pensare a molti altri concetti “universali”. Es: semplice, composto; materiale, non materiale; (fisico, metafisico); finito, infinito; perfetto, imperfetto. Ognuno di questi pensieri o concetti è importantissimo nella comunicazione umana. Per ora mi fermo qui.
Pensieri universali e semplici, Egr. senatore? Il primo che mi viene in mente è: sopravvivenza. C’è chi può declinarla da nato in una reggia e chi da nato in una topaia. Ma entrambi hanno la stessa preoccupazione di non morire.
Non mi pare, Dr. Bastanzetti, che si possa affermare che proprio tutti sono preoccupati per la sopravvivenza. Vi sono milioni, per non dire miliardi, di persone che sono assolutamente certi di non morire.
Questa me la deve spiegare, Senatore! Chi sarebbero costoro che credono di essere fisicamente immortali?
Gliela spiego Dr. Bastanzetti. E però la prego di non pensare che il mio sia un discorso fatto con malizia. Il Catechismo – che io ho studiato da fanciullo – dice precisamente. Il buon cristiano ha il dovere di credere: 1) che la sua anima è immortale 2) che il corpo muore solo “provvisoriamente” perché risorgerà alla fine dei tempi e si ricongiungerà all’anima. Il buon cristiano, che vive in grazia di Dio, sa che se muore va direttamente in Paradiso e vivrà eternamente felice. Quindi il buon cristiano non si preoccupa della morte del corpo. Secondo le statistiche oggi i cristiani (delle varie confessioni) sono circa un miliardo e mezzo. Questa è la spiegazione.
Uno potrebbe anche mettersi d’ impegno per ridurre all’ infinito un oggetto ma la domanda preventiva è: perché mai dovrei impiegare del tempo, che è la cosa più preziosa che ho, per far questo?
Questi studi (che ho svolto in perfetta solitudine dai 16 anni in avanti) avevano e hanno lo scopo di cercare quali siano i concetti e le operazioni mentali che possono essere considerati come “universali” ossia comprensibili da tutti, in tutti e tempi e luoghi. Conoscere questi concetti universali, secondo me, è importantissimo. Se vi sono pensieri “universali” è possibile che qualsiasi persona comunichi, e sia capita da qualsiasi altra (senza distinzione di cultura, storia, condizione sociale ecc.) almeno quando espone questi pensieri. Il pensiero di “punto” a me sembra essere uno di questi pensieri. Il pensare attorno al punto ci porta poi a pensare a molti altri concetti “universali”. Es: semplice, composto; materiale, non materiale; (fisico, metafisico); finito, infinito; perfetto, imperfetto. Ognuno di questi pensieri o concetti è importantissimo nella comunicazione umana. Per ora mi fermo qui.