Quanti di noi hanno paura?
Me lo chiedo ogni volta che esco con la mascherina e guardo il volto, anzi, gli occhi di chi incontro, le loro movenze, il passo svelto. Non ci si ferma a parlare, un saluto frettoloso con il capo e poi via, spesso in automobile diventata una “cassaforte” contro il contagio.
I “grandi” – come mi piace definire gli anziani – non passeggiano più con il giornale sotto il braccio, a due a due raccontandosi la vita e con il loro soprabito indossato anche in estate per quella dignità vecchio stampo, così rassicurante e non vedo più nessuno se non al supermercato schermati, distanti, silenziosi
UNA PAURA INTIMA CHE NON VORREMMO VERBALIZZARE
Chi esce ha paura, paura dell’altro, paura di infettarsi, paura dell’isolamento domiciliare come quei ruvidi criminali costretti agli arresti domiciliari… Siamo in fondo prigionieri di un virus coronato invisibile e letale per molti e speriamo non per tutti.
Ciò che rimugina la nostra mente è supportato dalle continue notizie mediatiche e anche a fare i non allarmisti quella paura diventa intima tale che non si vuole verbalizzare e rimane lì, sospesa tra il divano e la cucina presa d’assalto per mille ricette.
“Andrà tutto bene”, “Passerà anche questa!” Il positivismo della nostra Speranza, la farfalla bianca del Vaso di Pandora sventola su bandiere e cartelloni dalle nostre terrazze ma ancora quel futuro dell’”Andrà” aleggia nell’aria infetta e alimenta la nostra paura
Ne usciremo sicuramente ma come? Cresciuti in civiltà, umanità o quella paura avrà scavato un tunnel nell’inconscio della gente?
Nessuno ha la sfera di cristallo, solo ipotesi e occhi per guardare fuori da una chiusa finestra di casa
La paura è positiva, dovrebbe farci evitare la trasgressione di norme e leggi attuali. E’ l’angoscia che si dovrebbe combattere. Occorre fiducia ottimismo, che qualcuno usasse colori per dipingere il dopo. Abbiamo imparato a vivere insieme, in famiglia 24 ore su 24. C’è chi ce l’ha fatta e chi no, ma dopo ? E’ tutto diventato incerto, il lavoro che è sempre stato ostacolo alla convivenza. Chi comanderà, dirigerà questa Italia visto che movimenti tipo sardine, grillini, vegani animalisti ambientalisti o sono in sparizione o avranno meno potere di interdizione e ascolto. Ritorneranno le elites con competenze o noi, popolo incerto lasceremo ancora fare, provare perchè siamo portati a pensare a cose più elementari ? Questa big società che sembra si sia formata in questi mesi, resisterà? Ci vuole qualcuno che ci indichi il possibile cammino per i prossimi anni.
Se non si tratta di “fobia” la paura è da sempre sentimento di sopravvivenza, di autotutela. Il problema non è dunque averla ma saperla bilanciare col raziocinio, la speranza, la reattività.
LEGGERE CECITA’ DI JOSE’ SARAMAGO, IN TEMPI DI CORONAVIRUS.
di Francesco Cecchini · 25 Marzo, 2020
La copertina di Feltrinelli illustra bene il contenuto del romanzo. Rappresenta la storia, le figure nere in fila indiana raffigurano gli anonimi protagonisti ciechi e la donna a colori alla testa della fila, la moglie di un dottore, è l’unica dotata della vista in un mondo da abitato da non vedenti.
Le pandemie, come il coronavirus, hanno colpito e colpiscono l’ umanità, ma hanno anche stimolato la creazione di opere letterarie: La peste di Albert Camus, L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Márquez, Cecità di José Saramago ed altre.
In Cecità, che compie 25 anni, José Saramago, premio Nobel per la letteratura, ha anticipato la pandemia del coronavirus. Nel suo romanzo, non solo ha raccontato di una pandemia da terrore, ma ha anche prospettato un ritorno alla solidarietà umana per ricostruire una società in crisi. Venticinque anni dopo la sua prima edizione, va sottolineata la sua attualità. In questo romanzo, Saramago mette in guardia su come la nostra cecità può portarci alla distruzione del fragile equilibrio in cui viviamo.
Nel suo diario, Quaderni di Lanzarote, il 20 aprile 1993, racconta come non sarebbe stato facile mantenere i personaggi attraverso il lungo tempo narrativo del romanzo. Dopo settimane di riflessione, il 21 giugno Saramago osserva: “Difficoltà risolta. Non è necessario che i personaggi nascano ciechi fino a quando non sostituiscono completamente quelli con la vista: possono accecare in qualsiasi momento ”. Con questo, lo scrittore non solo risolse il problema narrativo, ma anche immaginò una delle epidemie più angoscianti mai narrate: la cosiddetta “peste bianca”, un male capace di spingere tutta la società ad avanzare alla cieca lungo un percorso affollato di sporcizia.
Il 2 agosto, come sottolinea nel suo taccuino, Saramago trovò le prime righe del romanzo.
In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All’inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è così. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un “mal bianco” che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l’inizio di un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l’intero paese.
Il 15 agosto Saramago scrisse nei Quaderni di Lanzarote di eliminare i nomi “Preferisco che il libro sia popolato da ombre di ombre, che il lettore non sappia mai chi sia, a di entrare, di fatto, nel mondo degli altri, di quelli che non conosciamo, tutti noi ”.
Scompare anche lo Stato. Di fronte al diffondersi di un morbo, che nessuno sa come fermare, la decisione delle istituzioni è di rinchiudere i ciechi in un manicomio per frenare l’epidemia, ma questa non frena. Il primo cieco si domanda: “Ci sarà pure un governo…non credo, ma, nel caso ci fosse, sarebbe un governo di ciechi che vogliono governare ciechi, e cioè, il nulla che pretende di organizzare il nulla”.
Lo Stato viene sopraffatto dagli eventi fino a disgregarsi a causa della loro portata, ma il Governo, prima di scomparire, però reprime e isola.
Un tema importante del romanzo è quello della ribellione
Cecità racconta anche delle azioni violente che possono portare a una liberazione. E queste azioni sono attuate da donne. Nella prima parte del romanzo la “moglie del medico”, l’unica che vede, uccide il capo dei “malvados”, il gruppo di ciechi che aveva preso il controllo della vita nel manicomio, imponendo lo stupro delle donne come moneta di scambio per rifornire di cibo i ciechi delle altre camerate. È in questo contesto che un’altra donna trova un accendino e decide di dar fuoco alla camerata dei “malvados”, finendo col dar fuoco a tutto l’edificio.
Sarà infatti proprio la donna, sempre la moglie del medico, ad essere il punto di riferimento, non solo in quanto guida un gruppo di ciechi durante le lunghe camminate nella città devastata, ma anche più in generale, in quanto è la persona la cui consapevolezza e correttezza sono riconosciute da tutti i membri del gruppo. E’ proprio attraverso la sua voce che Saramago da uno dei messaggi importanti del romanzo: “secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo”. Inoltre, i suoi gesti hanno una profondità politica: è grazie a lei, che conduce, che il gruppo esce dal manicomio, luogo del potere disciplinare per eccellenza, per entrare nella città in preda al morbo. Ed è grazie alle sue scelte che il gruppo trova protezione, fino a quando il primo cieco riacquista la vista, lasciando intuire che la guarigione dalla cecità è vicina. Le azioni della donna, dunque, mettono in pratica un diritto, valido per il gruppo di ciechi da lei guidato, che consente la coesione e l’unità tra i singoli membri.
José Saramago ritiene, quindi legittimo, politicamente sensato e corretto l’uso politico della violenza.
Grazie per “i grandi” anche se il termine può far montare la testa a noi anziani. Che poi siamo quelli che a primavera, levavano il cappotto e mettevano la “spolverina”, per rimetterla a settembre,eleganti. Siamo maturati nel senso che diamo ai giovani piccoli bocconi della nostra esperienza e storia. Che, se non così, il mondo non avrebbe più niente da dare, cercare, niente su cui discutere e confrontarsi. Dicevo una volta alla Emanuela che la mia raccolta di cravatte segna il percorso della mia vita. Per fortuna oggi i miei nipoti manca la portano, la cravatta. Auguri per il suo cammino da blogger
Ciao Paola! Che bello leggerti qui. Senza maschere. Attraverso lo sguardo delle parole. Un abbraccio!
Grazie Emanuela per ciò che mi scrivi