Il cuore della manifattura tornerà a battere in Italia
Lo scorso dicembre 2019, proprio un mese prima dello scoppio della pandemia in Cina, ho pubblicato il libro “Storia di un buyer” (Edizione KDP disponibile su Amazon). Definisco questa pubblicazione “un romanzo tratto da una storia vera” che ho scritto immaginando una treccia, composta da tre trame: sentimenti, professione e mercati, che si intersecano continuamente, tra di loro, in un emozionante racconto.
Un percorso che si snoda in oltre trent’anni di storia approcciando la Milano degli anni Ottanta, il “Miracolo del Nord Est”, la delocalizzazione in Cina, la grande crisi del 2009, fino all’ultima frontiera dello Smart Working.
Nel libro affronto tre temi che, a seguito della pandemia di COVID-19, sono diventati di estrema attualità:
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La mitigazione del rischio di fornitura che per le fabbriche manifatturiere è diventata una condizione strategica. Questo significa che il Procurement (la funzione Acquisti inserita nella supply chain) deve predisporre l’approvvigionamento di ogni componente, incluse le materie prime, attraverso due o più fornitori locati in continenti differenti.
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Il progressivo rientro di molte lavorazioni in Europa a seguito del superamento del fenomeno della delocalizzazione verso il Far East (cominciato nel 2000).
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Il grande vantaggio di operare in modalità “smart working” per impiegati ed aziende.
Ebbene, oggi questi tre cardini, che ho indicato nel mio libro, sono diventati dei veri e propri “mantra” per la ripresa economica del nostro Paese.
Cosa è accaduto e cosa sta succedendo nel dettaglio?
Il blocco delle attività produttive cinesi, che è avvento dal 20 gennaio fino a marzo inoltrato ed il conseguente ritardo delle esportazioni, ha causato molti danni alle industrie europee, ancor prima che in Italia fossimo investiti dall’epidemia in atto.
Molte fabbriche italiane, tuttora, dipendono per l’acquisto di svariati componenti dalle forniture dal Far East. Quanto è accaduto impone a tutte le aziende di diversificare le fonti di approvvigionamento, prevedendo nelle loro supply chain l’acquisto di una parte dei materiali in Italia o comunque in Europa.
Oggi questo esercizio, oltre ad essere necessario per ridurre al minimo il rischio di carenza di componenti, risulta un processo agevole anche economicamente, rispetto a qualche anno fa, in quanto il gap tra i costi cinesi e quelli italiani si è notevolmente assottigliato.
Quindi per un grande produttore è pensabile suddividere l’approvvigionamento dei componenti tra i paesi low cost e l’Europa.
Per quanto i prezzi d’acquisto del “made in China” possano apparire più convenienti, il calcolo del TCO (Total Cost Ownership) tra le merci prodotte in Asia e quelle costruite in Italia è quasi equivalente. Difatti le quotazioni dei prodotti italiani essendo prive dei costi di trasporto internazionali, dei dazi, degli oneri doganali ed assicurativi, oggi, possono competere con le forniture asiatiche, anche perché devono essere tenuti in considerazione il lead time (tempo di preparazione e di consegna) che è più breve e l’azzeramento del rischio di cambio.
Queste considerazioni, rese più drammatiche dai blocchi produttivi che tutta l’industria sta sopportando, senza dubbio spingeranno le aziende a scegliere adeguatamente l’origine dei materiali ed a riattivare molte produzioni qui in Italia.
Il caso più eclatante che abbiamo davanti ai nostri occhi riguarda la produzione delle mascherine chirurgiche, dei DPI per i sanitari che lavorano negli ospedali ed i ventilatori polmonari le cui manifatture erano state delocalizzate anni fa in Asia.
Nelle prossime settimane il rientro al lavoro sarà contingentato in rapporto alla quantità dei contagi che si registreranno sul campo e probabilmente questa condizione di precarietà durerà diversi mesi, quindi lo strumento del lavoro da remoto diventerà sempre di più una consuetudine.
Arriveremo a scoprire che lo smart working sarà un’ottima soluzione per molte realtà e che fornirà maggiore redditività ed efficienza alle imprese.
Ricordo che, durante la presentazione del mio libro lo scorso dicembre, affrontai questi argomenti ed incontrai tra il pubblico un certo scetticismo ed una marcata incredulità riguardo le modalità e le tempistiche necessarie a gestire i cambiamenti che avevo prospettato…
Il mio auspicio
Oggi siamo stati travolti da uno tsunami sanitario, sociale ed economico e sono sicuro che nei prossimi mesi tra le tante cose che le aziende dovranno fare per la ripresa, ce ne saranno due essenziali: le Operation dovranno rimodellare le supply chain per strutturare meglio gli approvvigionamenti e le Risorse Umane dovranno ridisegnare la disciplina dello smart working al fine che rimanga una pratica lavorativa consueta anche dopo l’emergenza.
Quindi l’auspicio a sostegno della nostra economia è quello di riprendere a costruire la maggior parte dei prodotti che in passato abbiamo delocalizzato nei paesi low cost. L’obiettivo sarà quello di ritornare protagonisti in tutti i settori dell’industria.
Potranno seguire questa strada, con grandi vantaggi, gli imprenditori che avranno retto l’urto di ben due crisi (quella del 2008 e quella attuale). Saranno le aziende che, negli ultimi dieci anni, hanno investito nell’automazione della produzione, nell’organizzazione dei processi e soprattutto nelle soft skills del personale.
Sempre che queste “nostre aziende” non siano già state acquistate dai fondi o dalle multinazionali straniere. ?
Daniele Pezzali consulente in Procurement & ICT (visita: www.danielepezzali.com)