La precaria salute dei cinema italiani
E così Tenet, l’ultimo film di Christopher Nolan divenuto simbolo del rientro in sala dopo la dura chiusura, è finalmente uscito al cinema il 26 agosto. Ma come siamo messi ad oggi con l’apertura delle sale?
La percentuale dei cinema che ad oggi hanno riaperto in Italia è pari al 29% (dati del 16 agosto), per un totale di circa 677 sale. Le cause alla base di questa scelta sono differenti e non tutte ascrivibili alla pandemia e alle sue necessarie regole: conta il periodo in cui si è deciso di riaprire (il cinema in estate è meno frequentato – prassi tutta italiana, va specificato), ma conta anche una poco valida promozione commerciale dei nuovi film in uscita.
Guardatevi attorno: Tenet a parte che, come è stato detto è una pellicola divenuta emblematica, ricordate qualche altro nuovo trailer? Servizi ad hoc su cosa vedremo in autunno, interviste ad attori che non fossero per celebrarne il compleanno quando andava bene, o la vita se defunti all’improvviso (vedi alla voce Franca Valeri)? Una retrospettiva, un approfondimento, anteprime succose e interessanti che non riguardassero solo il prossimo Festival di Venezia?
Fabio Ferzetti su Ciak ha esaminato bene il fenomeno. In pratica, ha evidenziato come, nella triade produzione-distribuzione-esercizio, manchi il vero propulsore necessario per qualsiasi ripartenza: l’informazione. Una comunicazione che non deve passare solo attraverso il trailer (comunque raro di questi tempi), ma un corretto circuito virtuoso che proponga strategie atte a riportare non solo la gente in sala, ma il desiderio impellente di tornarci.
È questo il problema. Ferzetti osserva come in Francia, dove ad essere aperto è l’85% delle sale, il cinema sia materia scolastica e l’interesse attorno alla settima arte elemento costituente imprescindibile della cultura nazionale. Possiamo noi dire lo stesso? Possiamo osservare un lavoro sullo spettatore e il suo immaginario? L’instillazione della voglia di volersi sentir raccontare ancora storie, nonostante tutto?
Ciò che si rischia, se non si interviene in maniera mirata e lungimirante, è una lenta distruzione del settore e un affermarsi brutale delle piattaforme in streaming, utilissime -intendiamoci- per distrarsi durante la quarantena, ma ad oggi poco promotrici di reale cultura cinematografica, essendo una prateria sterminata di titoli dove il pubblico spesso si perde ancor prima di scegliere cosa guardare.
Le soluzioni, come dovrebbe accadere per tanti altri ambiti colpiti dalla pandemia, dovrebbero prevedere un reinventarsi innovativo e propositivo su più fronti, magari una ristrutturazione culturale a partire non solo dai circuiti minori e solitamente di nicchia, ma che comprenda un aiuto multidisciplinare, dalla televisione agli stessi Netflix e Amazon Prime, affinché lo spettatore non solo si senta sicuro di tornare in sala, ma lo faccia con uno spirito nuovo e con la volontà di rinvigorire e rinfrancare un ambito che dà da mangiare a centinaia e centinaia di persone lungo la penisola. E magari, che dia da mangiare anche al suo spirito più dell’ennesima serata sul divano.