Lo storytelling italiano su Elisabetta II
Che gli italiani simpatizzassero per la Corona Inglese non c’era dubbio alcuno. I rotocalchi televisivi nostrani vivono della suggestione monarchica d’oltre Manica, alimentata da servizi e documentari che negli anni hanno affastellato i palinsesti della tivù generalista e non solo. La dipartita della Regina Elisabetta II non poteva che catalizzare l’attenzione della maggior parte delle trasmissioni, fagocitando una programmazione altrimenti concentrata sulle imminenti elezioni. Certo, ci troviamo di fronte a un evento storico: “once in a lifetime”, per quanto di eventi storici ormai tutti in qualche modo, negli ultimissimi anni, ne stiamo collezionando parecchi. Il tramonto di un regno è sempre memorabile, tanto più se tale regno è stato longevo come quello della Regina d’Inghilterra. Con lei non è morta solo una mirabile sovrana, ma simbolicamente un intero secolo, con tutto ciò che si porta dietro.
Viene tuttavia da chiedersi quanto i nostri programmi siano all’altezza di tale momento. Quanto cioè i vari giornalisti, conduttori, inviati riescano con obiettività a raccontare la complessità di tale figura. Non ci troviamo infatti di fronte a un’icona bidimensionale, che il marketing reale ci ha abituati a vedere stampata persino sulle tazze da tè. Elisabetta II era, prima di tutto, l’esponente di un mondo che fatichiamo a separare dal mito e che fatichiamo a separare da quell’egemonia culturale di cui siamo le prime vittime.
Esiste una parte di mondo, raramente citata in questi giorni dai media, che non ricorda questa scomparsa con commozione e benevolenza. È il sud del mondo, è l’Africa, il Sud America, le colonie che hanno subìto nei decenni soprusi, oppressione, emarginazione culturale se non mera e ingiustificata repressione. Sui social il fenomeno, che comprende anche gli irlandesi, ha avuto precise connotazioni, spesso sfociate in cinico humor nero, con meme, commenti, battute al vetriolo. Sono ferite da cui fuoriesce letteralmente la Storia, non solo quella intima e familiare di chi ha perso parenti e amici, ma quella di interi popoli convolti nel lungo processo di decolonizzazione costato letteralmente sangue e lacrime.
E, sebbene la Regina avesse un ruolo di rappresentanza e non di vero agente politico, è anche vero che era il principale membro di un mondo, quello monarchico, che è oltremodo anacronistico ormai solo da immaginare. Eppure esiste, oggi Carlo III è Re, e il resto dell’Occidente ne condivide il lutto, mentre la maggioranza dei media italiani riducono le riflessioni dell’evento a un’analisi dei gossip reali, degli amati cani corgi, di quei simpatici cappellini colorati con la borsetta perfettamente in tinta.