Picconare Grease e la rabbia inutile di chi se la prende
La notizia è stata confezionata ad hoc per scatenare polemiche, ma poco importa: tutto è partito da alcuni tweet di spettatori che, come può capitare, hanno commentato il musical Grease (anno 1978), mandato in onda sulla BBC1, definendolo omofobo, sessista e chiedendone in futuro la cancellazione dalle reti televisive. I tweet hanno attirato l’attenzione di una giornalista che ne ha confezionato un pezzo clickbait per il Daily Mail, aizzando ovviamente l’opinione pubblica, sempre più sensibile a certe tematiche. D’altronde il 2020 ci ha lasciato, tra le altre cose, uno sviluppo incalzante della cosiddetta cancel culture, quel fenomeno che analizza e arriva ad ostracizzare elementi culturali del passato, un tempo accettati e oggi considerati scomodi e da boicottare. Va da sé che la cancel culture è mal sopportata da coloro che pensano che moriremo di politicamente corretto, dove andremo a finire signora mia, non si può più parlare di niente sennò qualcuno se la prende.
Ecco, non è esattamente così, o meglio, questo è il meccanismo semplicistico in cui si vuole gettare un discorso che invece ha scopi molto più ampi, inclusivi, e soprattutto intersezionali, oltre che, in uno sguardo ancora più universale, antispecisti.
Tempo fa anch’io ho trovato fastidiosi certi revisionismi storico culturali, considerandoli eccessivamente tranchant. Tutt’oggi sono convinta che il boicottaggio tout court sia inutile se non inserito in un discorso costruttivo che riguardi l’attualità. Sabotare criticamente opere del passato è pericoloso: eliminare la storia non ha senso, se non si lavora perché non si ripeta.
Sono dell’idea che il revisionismo storico sia utile infatti solo se rapportato al presente e debba necessariamente passare attraverso una corretta contestualizzazione: noi, inteso come popolo occidentale bianco ed europeo (quindi civiltà privilegiata e in posizione di potere per buona parte della sua storia), siamo ciò che siamo grazie e malgrado il nostro passato, fatto anche di soprusi, carneficine, razzismo, sessimo, misoginia, calpestio a più riprese dei diritti fondamentali dell’uomo, soprattutto se appartenente a minoranze etniche, religiose, di genere. E i prodotti culturali realizzati sono lo specchio di quella mentalità, dal quadro all’opera letteraria, dalla pellicola cinematografica al programma televisivo.
Grease è quindi davvero misogino, sessista, omofobo? Certo, così come lo sono la maggior parte delle narrazioni filmiche di quegli anni. Come spesso lo sono ancora certe narrazioni contemporanee. Sandy viene presa in giro perché crede in certi valori, Rizzo viene colpevolizzata con una presunta gravidanza indesiderata solo per il fatto di essere sessualmente emancipata, Danny viene bullizzato perché vuole essere un bravo ragazzo (o meglio, rientrare nei canoni che determinano, secondo gli anni ’50 in cui è ambientata la vicenda, essere “bravo”), il gruppetto degli amici si schiera dall’una o l’altra parte tramite il filtro del pregiudizio di genere, per cui se non sei un duro sei una “checca”, se te la tiri sei una “verginella”, se al contrario promuovi l’amore libero sei una “facile”, e tanto altro ancora. Non è l’unico film che varrebbe la pena studiare secondo gli stereotipi che promuove, al netto delle news clickbait (su cui comunque a volte si può imbastire per un sano dibattito): nel banco degli imputati sarà facile trovare a breve anche Pretty Woman, Notting Hill, Harry ti presento Sally e tutto il corollario di commedie apparentemente innocue perché appellate come romantiche (e non cito neppure i classici Disney).
E qui è bene specificare a chiare lettere una cosa: chi se la prende per questo tipo di notizie esercita una rabbia inutile, scaturita probabilmente dal senso di colpa nel non sentirsi a posto con la propria coscienza da spettatore etico. “Ma come, io che mi sento mentalmente aperto ho sempre adorato vedere film del genere? Come diavolo è possibile? Vi odio promotori della cancel culture, mi state rovinando i miti con cui sono cresciuto!”
Il passaggio da fare è a parer mio un altro: comprendere che certi costrutti nascono da pregiudizi che sussistono anche inconsapevolmente all’interno della nostra società. Ne siamo immersi tutti, ed è facile non vederli. Se però oggi puntiamo il dito verso alcune rappresentazioni è perché la sensibilità è cresciuta molto verso certe dinamiche, specialmente nelle nuove generazioni e nelle vittime di discriminazioni più o meno palesi, che finalmente hanno la forza di alzare la testa e dire NO. La consapevolezza si è acuita, vuoi grazie ai social, vuoi grazie a certi attivismi che hanno più eco di altri. L’attività critica verso le opere di ieri serve da palestra per riconoscere nel contemporaneo e non solo all’interno dei prodotti mediali, ingiustizie e discriminazioni reali. Ciò non toglie che i film condannati non possano essere riguardati comunque più volte con piacere: io personalmente amo Grease e non smetterò di cantare “Summer Nights” solo perché prepetua fastidiosi cliché. Si impara semplicemente a scindere. Per qualcuno sarà impossibile, allora alzerà i suoi muri ed è anche questa una scelta dettata dalla propria posizione all’interno della società. Se la rabbia è grande, sarà impossibile d’ora in avanti far finta di niente.
Che le riflessioni, tutte, anche se nate per precisa volontà polemica, aiutino a crescere e diventare fruitori consapevoli. Chi se la prende è perché sente sotto ai suoi piedi lo scricchiolio di alcune certezze che vacillano, e tenersi fermi sotto i colpi di certe reazioni è difficilissimo. Serve un grande coraggio, a mettere in discussione i propri valori, ed è comprensibile che qualcuno non voglia farlo, rimanendo ancorato ai brandelli di ciò che rimane in piedi. Qualcuno, nel frattempo, continua a picconare.
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