“Bullo” alias individuo privo di scrupoli, i banchi scolastici non fanno per te! I rischi insiti nel concetto di scuola “chioccia”
Ennesimo caso di follia fra le pareti scolastiche: in un istituto tecnico di Lecce un soggetto ha umiliato un compagno di classe di 17 anni brandendo una sedia.
Calci e spintoni, il tutto filmato dagli amici della vittima, che speravano di aiutarlo a uscirne (e infatti la madre del ragazzo ha presentato un esposto in Procura a Lecce, allegando alla denuncia anche il video). Questo ragazzino per natura introverso, subiva le angherie di un numero non precisato di studenti dall’inizio dell’anno scolastico con corredo di umiliazioni e lividi. I soprusi lo hanno segnato a tal punto da minare il suo rendimento scolastico, brillante prima degli attacchi (la cricca arrivava a privarlo della maglietta con la quale puliva la lavagna).
Il video che testimonia l’accaduto sta rimbalzando di quotidiano online in quotidiano online. Mi metto nei panni della vittima: prima la persecuzione, poi la fama indesiderata, rivivere la propria sofferenza col consueto coro di farisei come sottofondo che invoca clemenza nei confronti dei prepotenti che non si sa bene per quale motivo vengono percepiti come Oliver Twist dei nostri giorni ma che sovente provengono da famiglie borghesi standard (Lucca docet) e sono semplicemente dei sadici.
Nell’era di Internet, in cui i reati vengono addirittura ripresi, non si riesce a debellare la piaga della violenza nelle scuole. Quali contromisure ci vorrebbero per stroncare il fenomeno sul nascere?
In primo luogo è necessaria la bocciatura (al momento del ritorno sui banchi imporrei anche lo spostamento in un'altra scuola, per non costringere le vittime a dover avere di nuovo a che fare coi carnefici), da non intendersi come sinonimo di vacanza anticipata, ma come concretizzarsi di una solida realtà: riformatorio, 24 mesi di servizi socialmente utili presso ospedali, case di riposo e comunità per disabili e un bel risarcimento danni alla vittima direttamente proporzionale al danno inflitto. E fino alla fine della loro “carriera” scolastica, incontri settimanali con psicologi e assistenti sociali dovrebbero essere obbligatori per questi soggetti pericolosi, che andrebbero costantemente monitorati poiché potrebbero reiterare i loro crimini.
Ma tutto questo non avviene e sapete perché? Come sottolineato da Vittorio Feltri in un suo recente articolo, siamo noi che consentiamo ai bulli di essere tali. L’opinione pubblica pretende che la scuola fornisca qualsivoglia strumento ai ragazzini, che lo Stato si faccia genitore: “vogliamo che i pargoli imparino il sesso in classe, imparino a usare il computer, imparino il galateo, imparino la Costituzione, imparino tutto, perfino il codice stradale”.
La scuola deve educare a 360° e su tutti i fronti, deve vegliare, correggere, raddrizzare, punire. Certo, quando il figlio non è il tuo: se solo un professore si azzarda a rimproverare un balordo o anche solo un soggetto duro di comprendonio, apriti cielo: interrogatori, minacce, ricorsi, denunce, talvolta anche mazzate nel vero senso della parola.
La bocciatura è vista come il male assoluto, guai a parlarne e quando si utilizza come contromisura, finisce addirittura in cronaca (come nel caso dei 3 persecutori del professore di Lucca, che sono stati bocciati, stando ai titoloni dei giornali online. Ho letto che uno di loro è andato addirittura a Le Iene, trasmissione di Italia 1 che non seguo, per lamentare il fatto che riceva insulti di tutti i tipi sui social, che si sta esagerando e che in fin dei conti tutta la classe era complice quando si trattava di umiliare l’insegnante. Io invece non trovo affatto giusto che un minorenne con le sue gravissime responsabilità vada in televisione a recriminare).
Come prevenire tutto questo? Io comincerei dal principio, reintroducendo l’utilizzo del lei e dell’attenti all’ingresso del maestro fin dalla scuola primaria, tanto per schiarire le idee ai virgulti: è giunto il momento di togliere ai bambini il vizio di rivolgersi a maestri e insegnanti con la stessa voce lagnosa o autoritaria con cui apostroferebbero il padre e la madre.
I maestri e i docenti sono i custodi del sapere e come tali devono essere considerati e rispettati, fin dal principio. Non sono balie, psicologi, istitutori privati ottocenteschi da comandare a bacchetta o genitori surrogati, i sostituti di persone che lavorano 12 ore al giorno e delegano l’educazione della prole in toto allo Stato.
Non sono persone a cui rivolgersi in base all’umore del momento, sono i depositari della cultura. Reintrodurre rigore, disciplina e le doverose distanze fra maestri o professori e ragazzi è una conditio sine qua non: quando si deve ripartire da zero anche la forma è utile per arrivare alla sostanza. In caso contrario si cade nel più grosso degli errori, la scuola diventa una “chioccia”.
L’equivoco del professore che viene percepito e si percepisce come genitore putativo genera un paradosso: il carnefice viene vittimizzato. “Lo studente è violento, dove avrò sbagliato?”; “in fin dei conti non è poi così grave, sono solo beghe tra ragazzi”: i professori negano l’evidenza proprio come farebbero genitori incapaci di accettare la realtà.
Difatti uno studente violento colto in flagrante cosa fa? Si scusa (la stampa ci fa sapere che il responsabile dei fatti di Lecce avrebbe chiesto venia e il preside dell’istituto dal canto suo ci informa che anche lui sarebbe uno studente fragile, pensate un po’! Quasi quasi mi commuovo!), come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata, ma la verità è questa: le sue angherie ti rovinano la vita. Oltretutto il reo diventa un pessimo esempio per i suoi compagni di classe che spesso scambiano la violenza per goliardia e sono pronti a riprodurre il “modello” a cuor leggero (il fatto che mentre il soverchiatore si dedichi ai suoi misfatti il resto della classe non intervenga ma sovente sghignazzi la dice lunga).
Ma delle vittime, chi si preoccupa? Se la scuola decide di non allontanare determinati soggetti in nome di non si sa quale precisato diritto al reinserimento sociale e scolastico, io, l’abusato, devo trovarmi faccia a faccia, giorno dopo giorno, col mio aguzzino. Al violento non si impone nemmeno di cambiare scuola, semmai sono io, la vittima, a dover migrare verso altri istituti.
Ebbene, fuori dai piedi violenti, perché la scuola non ha bisogno di voi: non è refugium peccatorum e tantomeno riformatorio, è semplicemente il tempio del sapere. Se avete voglia di apprendere bene, ma se l’italiano o la matematica non vi entrano in quella zucca vuota e vi presentate in classe per umiliare e picchiare, lo ribadisco, non c’è spazio per voi, in aula.
Il percorso di recupero di un violento NON deve essere né una preoccupazione né una priorità della scuola, ma del diretto interessato, dei suoi genitori e del riformatorio. Come giustamente sottolineato da Feltri negli anni ’50 non esistevano i “bulli”, ma solo i teppisti che all’occorrenza venivano presi a "calci nel culo".
A scuola si va per imparare la matematica, l’italiano e la storia, gli insegnanti non sono capri espiatori a uso e consumo di genitori assenti e studenti fuori controllo. Finché i protagonisti degli episodi di violenza, i genitori e gli stessi professori non se lo ficcheranno in testa, non ne verremo fuori.