Il vecchio che leggeva romanzi d’amore di Luis Sepulveda
“Fu invitato al generoso festino offerto dai vecchi quando decidevano che era arrivata l’ora di “andarsene”… aiutò a portarli fino a una capanna lontana per coprire i loro corpi con un dolcissimo miele di palma.” È la descrizione dell’incontro del protagonista con il “rito del morire” nella civiltà dei “shuar”, popolo di nativi della foresta Amazzonica.
È il primo romanzo di Luis Sepulveda. Ci parla di un’umanità sofferente che vive a ridosso e all’interno della foresta amazzonica dell’Ecuador.
Il protagonista, Antonio, è un “vecchio” sulla sessantina (in un’ambiente dove si muore mediamente prima dei cinquant’anni). Era vissuto in precedenza a San Luis, un villaggio della Sierra nel quale le sue condizioni, pur di estrema povertà, erano quasi sopportabili. Faceva il bracciante e si era sposato, secondo le usanze del luogo, a 15 anni con Dolores una ragazza della sua età. La vita degli sposi che si amavano teneramente era diventata dopo qualche anno impossibile a causa di un’assurda superstizione. Dolores non rimaneva incinta. Questo per gli abitanti del villaggio era un segno che la donna era preda del demonio. Antonio e Dolores prendono così la via dell’esilio. Tentano di diventare coloni nelle aree della foresta Amazzonica. Dopo un viaggio lungo e faticosissimo arrivano a El Idilio località nella quale vive meno di un centinaio di persone. Si costruiscono una capanna e tentano di avviare l’attività agricola su due ettari di terreno che, in base all’autorizzazione governativa, essi avevano il diritto di coltivare dopo averlo disboscato. Ma l’impresa è impossibile. Due persone sole, prive di strumenti meccanici, in mezzo a uragani furiosi, bestie feroci, nugoli di zanzare che con le loro punture provocano infezioni inguaribili sono destinate a soccombere in poche settimane.
In loro soccorso arrivano però i “shuar”, indios che vivono da sempre nella foresta, e della foresta conoscono tutti i segreti. Impietositi verso Antonio e Dolores, i shuar insegnarono loro come cacciare, come riconoscere i frutti commestibili, come ricavare un po’ di terreno coltivabile. Ciò non è sufficiente però per Dolores che, dopo un anno muore di malaria.
Antonio, pur sopraffatto dal dolore, resiste e inizia una nuova vita “integrandosi” nella civiltà dei shuar. Dice Sepùlveda: “pian piano dimenticò (l’odio per la foresta che gli aveva strappato la sua Dolores) sedotto da quei luoghi senza confini e senza padroni”.
Il nostro eroe trascorre la sua vita fino alla “vecchiaia” nella foresta partecipando alla vita degli indios diventando “uguale” a loro senza però poter diventare mai – come prescritto dalle leggi assolutamente inviolabili di quella comunità – “uno di loro”.
Antonio, da vecchio, ritorna quindi a El Idilio e si reintegra nella civiltà dei bianchi impegnandosi, per quanto gli sarà possibile, a difendere le ragioni dei shuar contro le prepotenze dei governi e degli avventurieri che vogliono distruggere la foresta.
Per sopportare le terribili sofferenze che gli vengono dalla vecchiaia, dalla solitudine, dai ricordi antichi e recenti Antonio troverà un “analgesico”: la lettura dei romanzi d’amore.
Con questo romanzo Sepulveda ci consegna un messaggio. Ci sono valori, in civiltà che noi giudichiamo “primitive”, con i quali la nostra civiltà dominante farebbe bene a confrontarsi. Soprattutto sul tema del rapporto fra uomo e natura ma anche, più in generale, sul tema del senso della vita.
Curiosità. Il lettore italiano troverà qualche qualcosa di inaspettato nell’ambientazione del romanzo: accenni alla città di Venezia e al libro Cuore di Edmondo De Amicis.
Signor Giorgio, se il tema è: Indicare analgesici per solitudine e vecchiaia (che per il sepulvediano protagonista Antonio furono i romanzi d’amore) le propongo una mia testimonianza. Ho conosciuto un vecchio che passava ora ad osservare un formicaio, seduto a fianco ad esso uccideva le mosche che gli si posavano sul braccio e le dava in pasto alle colonne formichesche. Analgesico contro la solitudine…
Credo che ogni persona possa escogitare analgesici che riducano la sofferenza. Credo anche che ogni persona possa (magari ricercando assieme ad altre) trovare, oltre che analgesici, vere e proprie medicine capaci di curare o prevenire alcuni mali che causano le sofferenze.
Contro la sofferenza causata dal pensiero della morte (angoscia esistenziale) però penso che si possono trovare solo analgesici. E non è facile, si rischia di trovare analgesici che la attenuano per un po’ di tempo, ma poi, passato l’effetto, provocano sofferenze collaterali molti più acute. Ne tratteremo senz’altro più approfonditamente più avanti.