Pensa tu stesso
Sul frontone de tempio di Apollo a Delfi era scritto: “Conosci te stesso“. Si dice che questo motto fosse la sintesi della saggezza del pensiero antico. Ora mi chiedo: “Come posso conoscere me stesso?” Mi rispondo: “Posso conoscermi pensando a quella cosa che costituisce il mio io, ossia pensando me stesso“. Osservo che per pensare me stesso posso usare soltanto la mia mente. Penso dunque la mia mente e osservo che nella mia mente si formano questi pensieri. Quindi il motto: “Conosci te stesso” vuol dire in definitiva: “Pensa te stesso” (Pensa tu stesso te stesso). Osservo ora che se penso me stesso “studio” me stesso. Quindi penso come segue.
LA MENTE (IO) “STUDIA” E “SCOPRE” SE STESSA
Io “penso” e “studio” la mia mente.
Io studio la mia mente “per mezzo” della mia mente.
Quando penso “io”, penso “la mia mente”
“io” e “la mia mente” sono la stessa cosa: io sono la mia mente.
La mente studia se stessa per mezzo di se stessa
(Il mio “io” studia se stesso per mezzo di se stesso).
Io posso studiare la mia mente RIFLETTENDO (pensando i miei pensieri).
N.B. La mente è come uno specchio che riesce a rispecchiarsi in se stesso (con tutte le immagini che lo specchio contiene).
La mia mente riflettendo su se stessa – dopo lo svolgimento di un certo numero di esercizi -“scopre” (vede, conosce, comprende) le proprie caratteristiche: scopre
“come è fatta” e “come funziona”.
Ecco una delle scoperte più importanti.
La mente scopre di possedere due “facoltà”:
- l’intelligenza “reattiva” (inconsapevole, in-cosciente);
- l’intelligenza “attiva” (consapevole, cosciente)
– Per mezzo della prima facoltà l’essere umano “reagisce” agli “stimoli” che gli provengono dall’ambiente esterno e “risponde immediatamente” ossia compie quelle azioni che gli consentono di “conservare” la vita (ad esempio sente fame, sete, freddo e immediatamente cerca cibo, vestito, mezzi per riscaldarsi).
– Per mezzo della seconda facoltà l’essere umano “prima” di compiere un’azione “attende e pensa”; cerca di “prevedere” quale sarà il risultato del suo agire (ad esempio, sente sete, vede davanti a sé un bicchiere d’acqua, ma non sapendo se l’acqua è potabile “attende” di bere). (continua)
Fare l’esperimento che proponi? va bene. Ma tu che lo hai fatto, quali conquiste verso la conoscenza di te stesso hai fatto? Quanto scrivi, mi sembra un suggerimento di procedura ma cosa hai scoperto di te stesso? In altre parole, il Giorgio di prima l’esperimento e il Giorgio, dopo l’esperimento è lo stesso oppure è diverso? cambiato? è migliorato? è più sereno? ama più se stesso e gli altri? gode della propria esistenza? ha consapevolezza della propria esistenza? ha fatto pace con se stesso? ha perdonato chi gli ha fatto del male?
Caro Giorgio, io ho esposto, spero chiaramente, il mio pensiero in merito a quello che io ritengo un buon metodo per iniziare a pensare filosoficamente. E ho chiesto ai lettori di dirmi se sono o non sono d’accordo in tutto o in parte.
Ora tu, invece di dirmi cosa pensi in merito, mi chiedi se il metodo da me proposto ha dato buoni frutti per la mia vita. Ammetterai che io non sono la persona più adatta a giudicare il mio lavoro (il pensiero è lavoro). Come dice il proverbio “nessuno è giudice nella causa in cui è parte” (nemo iudex in causa propria).
Comunque, visto che la tua domanda mi esonera dal dovere di essere modesto, ti risponderò così. Il metodo in questione è stato per la mia vita molto proficuo perché mi ha consentito:1) di sviluppare la mia capacità di “auto-formazione” ossia la capacità di elaborare opinioni, idee, conoscenze, rappresentazioni intorno ai fenomeni naturali e sociali in modo “autonomo” e “indipendente”; 2) mi ha reso più semplice ed efficace lo studio di qualsiasi materia a partire dalla filosofia. In sintesi ha guidato la mia vita. Oggi alla soglia degli ottant’anni posso dire che, con questo metodo e con l’aiuto della fortuna (che però non mi ha fatto mancare difficoltà e dispiaceri) mi sento una persona consapevole e realizzata e in armonia con la propria coscienza.
Ritengo che i benefici di questo metodo possano essere ottenuti, anche in misura più elevata ed efficace, per tutti coloro che avranno il coraggio di affrontarlo. (Sul coraggio necessario per affrontare il metodo parleremo in altra occasione).
Giorgio Pizzol, è giusto quanto tu scrivi rispetto al fatto che per arrivare a conoscere se stessi è inevitabile una (difficile e lunga) attività di ricerca interiore. Non condivido il tuo punto di partenza ed in particolare l’affermazione “…Posso conoscermi pensando a quella cosa che costituisce il mio io, ossia pensando me stesso….“. Uno delle conquiste principali nel raggiungere la vetta altissima del conoscere se stesso, è proprio l’ANNULLAMENTO DEL MIO IO. Diversamente, la ricerca, diventa solo un ingarbugliato ed inutile esercizio intellettuale. Il tuo approccio mi sembra più in linea con il famoso “Cogito ergo sum” di Cartesio con il suo libro “discorso sul metodo”.
Gentilissimo Giorgio Di Rocco , intanto grazie per l’attenzione al mio discorso. Devo precisare che esso riguarda quello che, secondo me è il primo e indispensabile passo per conoscere se stessi. Io penso me stesso e “scopro” che sono capace di pensare. E prendo così coscienza del mio pensare e del fatto che esiste una “cosa” che mi permette di pensare, la mia mente. Si tratta di un’operazione abbastanza semplice che io chiamo “auto-osservazione mentale” o “riflessione”. Questo è il primo passo al quale dovranno ovviamente seguire, secondo lo statuto della filosofia occidentale, molti altri passi. Da quanto mi sembra di capire tu condividi la tesi di alcune filosofie orientali come il Buddismo Zen secondo le quali bisogna arrivare all’annullamento dell’io. Non sono competente su questa tesi e sulla filosofia orientale che ha un altro “statuto” (criterio metodologico) rispetto alla filosofia occidentale. E non mi pronuncio per il momento su questa tesi. Ho letto però che la filosofia orientale richiede sempre la presenza di un maestro che, dopo un lungo e arduo percorso, porta un allievo al risultato in esame (detto “illuminazione”). Si tratta comunque di un “punto di arrivo”. Io parlo invece “di un punto di partenza” che, secondo me, è alla portata di tutti. Questo passo non esclude che si possa giungere dopo un percorso più o meno lungo allo stesso risultato proposto dalle filosofie orientali. Il tema merita naturalmente di essere trattato attentamente e discusso. Riconosco volentieri che il mio approccio, come tu hai correttamente osservato, è in linea con quello di Renato Cartesio “Cogito ergo sum”. A mio modestissimo parere il merito di Cartesio sta proprio nell’aver dato inizio alla suo modo e “metodo” di filosofare mettendo l’accento sul “cogito”, “io penso”. Dentro il pensiero di “io penso” si possono scoprire molti pensieri di importanza capitale per il pensare e per il vivere delle persone. Ma per ora mi fermo qui. Su questo blog troverà altri sviluppi sul tema di cui parliamo. Ad es. https://blog.oggitreviso.it/dia-blog/lorigine-della-coscienza-percezione-e-auto-percezione/
Giorgio mi sembra di ricordare che Cartesio indagava sul metodo per arrivare a conoscere tutto ciò di cui era circondato mettendo in dubbio tutta la sua precedente formazione/informazione, tu invece poni nel tuo post l’indagine di “conosci te stesso”. Come dire: Cartesio indaga fuori da se stesso mentre tu vuoi indagare dentro te stesso. E purtroppo l’io è un grandissimo ostacolo nell’indagare se stesso. E’ un fatto oggettivo, studiato molto in profondità e scientificamente dalla psicologia. Per la mia esperienza, bisogna avere il coraggio di mettere in discussione proprio se stesso. Avere la determinazione di cercare (se stesso) ma senza nessuna rete di protezione (l’io). Bisogna insomma “buttarsi” verso il non conosciuto, mettendo in pratica le intuizioni che emergono dalla ricerca. Chiudo ricordando, a proposito dell’io, un grande pensatore occidentale, e quindi non orientale che affermava: „Il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dall’io.“ — Albert Einstein, libro Il mondo come io lo vedo
Caro Giorgio, la mia proposta non vuole impartire nessun “insegnamento” a nessuno. Come si dice nel titolo, qui io propongo, in sostanza un semplice esperimento. Propongo di interpretare il detto antico “Conosci te stesso” come se esso mi dicesse: “Pensa tu stesso te stesso”. Dopo di che l’esperimento prevede che io osservi e riferisca quello che ho visto accadere nella mia mente. Ai miei interlocutori io propongo soltanto (e ovviamente non impongo) di svolgere lo stesso esperimento. In questo articolo ho riferito sui primi risultati che è mi è sembrato di aver trovato nel corso dell’esperimento. (Più avanti e in altra sede ho riferito di altri risultati). Ma tu come qualsiasi altra persona potresti “vedere” qualcosa di diverso da quello che ho visto io. Permettimi di dirti che sarei curioso di sapere cosa è venuto in mente a te dopo aver fatto questo esperimento. Ma naturalmente se non vuoi farlo non te ne farò una colpa né mi sentirò offeso. Se deciderai di farlo me lo farai sapere. Poi possiamo discutere se il mio pensiero rientra o meno nei canoni della filosofia di Cartesio o di Einstein o di altri grandi maestri della filosofia orientale o occidentale. Un cordiale saluto.